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E così, nel breve volgere di mezz’ora ed in diretta TV, si strappa in maniera insanabile la rete tessuta nelle ultime due settimane da  Enrico Letta. Calenda manda tutto a ramengo e va da solo alla pugna, convinto alla fine che chi fa da sé fa per tre. Ci ha provato il segretario del partito-guida dell’area progressista a far capire che stare uniti contro il pericolo, quanto mai concreto,  di una deriva populista, liberalista e razzista  rappresentava in questo momento qualcosa di più importante degli egoismi e dei particolarismi, ma è stato tutto vano. Quanto accaduto nelle ultime ore se da un lato fa indubbiamente chiarezza su di uno schieramento che definire eterogeneo era puro eufemismo, dall’altro lato sancisce in maniera incontrovertibile che un centrosinistra di programma che sappia coniugare equità sociale e sviluppo economico non esiste. La coperta si è dimostrata irrimediabilmente corta; se provavi a coprire la testa dell’area “liberal” rimanevano scoperti i piedi della sinistra più radicale e viceversa.   Per trovare la quadra sarebbe servito un atto di generosità da parte di tutti i protagonisti. Sarebbe servito mettere la sordina ad ambizioni e caccia alle poltrone, rinunciare alla prima pagina a tutti i costi e lavorare insieme per il raggiungimento di un obiettivo comune che già così sarebbe stato difficilissimo portare a casa. Invece no. Hanno prevalso le scelte di opportunità, la voglia di protagonismo. E così la sorte sarà segnata: un massacro all’uninominale; un inutile, probabile, secondo posto nel proporzionale. Quanto basta per consegnare il paese nelle mani di un ottuagenario la cui filosofia, recitata in proprio e diffusa a piene mani dai suoi adepti, ha contributo in maniera decisiva a smantellare principi e valori negli ultimi trenta anni  facendo del materialismo e dell’edonismo i riferimenti fondamentali.  Con lui tornerà sulla tolda di comando quel collezionista di figure barbine a livello nazionale ed internazionale  che è Matteo Salvini , incapace dopo trent’anni di politica di produrre qualcosa di plausibile che non siano i triti e tristi slogan anti-migranti. E poi la leader in pectore, Giorgia Meloni, scaltra, preparata, coerente nella sua linea d’azione ma legata irrimediabilmente ad un mondo i cui fondamentali  non possono che inquietare. Ma se tutto questo non è stato sufficiente a tenere in piedi un filo logico che unisse chi dichiara a parole di opporsi a tanto scempio c’è poco da fare.  Perderanno, come d’abitudine e ci faranno perdere, a tutti.

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Si moltiplicano gli incontri tra i leader delle varie componenti di centro e sinistra con l’intento di creare un argine credibile e praticabile contro l’annunciata vittoria ( qualcuno parla anche di trionfo) dell’asse lombardo-capitolina di destra. Calenda parrebbe si fosse già inteso con Letta, Fraioianni e Bonelli ancora no. Così  mentre l’apparente  monolite guidato da Giorgia Meloni già s’apparecchia per la divisione dei posti ai ministeri, con Salvini che prenota il ministero dell’interno e la “ducetta” che si fa notare invece per un inedito “low profile” teso ad accreditarla con le istituzioni europee, sul lato progressista siamo ancora all”ora ci penso”, “serve una ulteriore riflessione”…Vien da chiedersi: ma su cosa volete riflettere ? Non è abbastanza chiara la posta in palio in queste elezioni anticipate provocate dagli spasimi di quel che resta del  M5S e dalla scaltra mossa dei “Berluscheidi” pronti a cogliere al volo il premio che sondaggi e simulazioni da tempo gli attribuiscono? In particolare Sinistra Italiana e Verdi recalcitrano perché non gli garba l’accordo siglato dal PD con Azione e +Europa, riproponendo come principi assoluti temi che invece mi sembrerebbero trattabili e includibili in un programma riformista non utopistico ed ancorato alla realtà. Per esempio: dicono i due rossoverdi che non vogliono i rigassificatori. Di grazia, come pensano nella loro ecologica testolina che si possa arginare l’emergenza energetica che scatterà con l’autunno? La realtà è purtroppo parecchio più brutta dei sogni e con questa bisogna fare i conti. Poi magari si definisce l’inclusione nel programma di governo uno  sviluppo vero delle fonti energetiche alternative;  una azione efficace che intervenga certamente eliminando le pastoie burocratiche ma anche evitando che ad ogni progetto si opponga il muro degli amministratori locali ( vedi in Sardegna con le pale eoliche che tutti reclamano ma nessuno vuole sul suo territorio). Idem sul tema della guerra in Ucraina. Fratoianni e Benelli contro invio armi, Calenda e Letta a favore.  A parte la considerazione abbastanza scontata quanto oggettiva che senza l’aiuto dell’occidente a quest’ora la questione ucraina si sarebbe già risolta con Putin a prendere il thè a Kiev, ma in ogni caso dove sta scritto che l’ipotesi aiuto militare confligga con quella della trattativa diplomatica ? Poi: “Agenda Draghi” troppo spostata verso il capitalismo ? Posto che coi mercati ormai tocca fare i conti mi verrebbe da dire a Fratoianni che ciò dimostra paradossalmente che il vecchio signore con la barba nativo di Treviri aveva ragione nell’affermare che la struttura  determina la sovrastruttura ( sebbene con conseguenze ben diverse da quelle da lui immaginate) e che semmai un moderno progressismo dovrebbe puntare ad invertire i termini per ridare prevalenza all’elemento umano su quello tecnico-finanziario. Un tema anche questo includibile in un programma di centro-sinistra ed anzi non più rimandabile se si parla di lavoro ( qualità e quantità). E allora ? Ancora decisi a marciare divisi per offrire il petto ed il paese alla destra ? O forse è tutta una questione di posti e di poltrone,come qualche retroscenista ipotizza  e le questioni di principio sono solo  uno specchio dietro al quale compare il fantasma delle parole pronunciate dal vecchio attivista di partito nel film “I cento passi” : “Noi saremo sempre sconfitti perché ci piace. Essere divisi ci piace”.

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L’omicidio dell’ambulante nigeriano a Civitanova Marche solleva, oltre al raccapriccio per l’episodio in sé e la sua sconvolgente dinamica, molteplici interrogativi sulla società, i comportamenti,  la politica. Si rimane basiti davanti all’evidenza di una aggressione violenta e sproporzionata , perpetrata con una rabbia ed una ferocia che affonda le proprie radici in un clima diffuso di mal sopportazione, di insofferenza quando non proprio di odio verso chi è diverso o straniero. E’ un  sentimento che è stato cavalcato ad arte per anni da  certa stampa e da certa politica; entrambe per fini strumentali hanno sottovalutato l’impatto delle loro affermazioni  su quelle che Guareschi avrebbe definito “zucche senza sentimento”.  Adesso che la crisi economica morde e si sovrappone a quella pandemica  il risentimento, l’astio,  forse anche la disperazione trovano  canali e (s)oggetti di sfogo in chi per anni è stato indicato come il nemico da cacciare oppure, (altrettanto strumentalmente), come la vittima da difendere anche contro l’evidenza. Ancora di più, però, annichilisce la constatazione che coloro che si sono trovati davanti alla scena dell’aggressione non abbiano trovato niente altro da fare che accendere il telefonino e riprendere; come se quello che stava accadendo davanti ai loro occhi non fosse la realtà, come se non si stesse giocando la vita di un uomo. Niente. Nessuno che sia intervenuto; sarebbe probabilmente bastato poco per evitare che un atto di ingiustificabile stupidità terminasse in tragedia.  Invece no: spettacolo; realtà che diventa finzione in una degradante perversione. Roba da filmare e poi distribuire in rete a caccia di faccine e consensi . Per dirla con Debord “uno slittamento dall’essere all’apparire” , una “alienazione dello spettatore a vantaggio dell’oggetto contemplato”.  Lo spettacolo via social sta diventando il nuovo oppio dei popoli che ottunde la mente e spenge i sentimenti. Infine inevitabile che la vicenda sconfinasse in politica, tanto più in questo momento nel quale sta prendendo avvio la più sgangherata campagna elettorale della storia repubblicana. In questo contesto non è mancato chi ( Corrado Formigli) si è precipitato da Giorgia Meloni reclamando  la mancanza di tempestivi messaggi di condanna  nei confronti della vergognosa aggressione compiuta da u n italiano verso uno straniero. Siccome però la “ducetta” è una che dialetticamente se la cava, il giornalista d’assalto è finito spernacchiato e accusato di sciacallaggio per non aver espresso (lui) nemmeno una parola di solidarietà e cordoglio. Al di là dell’episodio in sé la faccenda conferma che certi “maitre à penser” della sinistra farebbero bene a ragionare prima di parlare per non offrire ed offrirsi alla controffensiva di una destra che è molto preparata e assai più scaltra dei Don Chichotte d’occasione  . Intendiamoci, la questione potrebbe essere certamente utilizzata in chiave di confronto polemico, ma con tempi adeguati e modi differenti. Ad esempio focalizzando  il ragionamento sugli effetti che un successo come quello che va delineandosi da parte dello schieramento a trazione meloniana potrebbe avere in chiave sociale autorizzando i molti revanchisti storici ed i tanti che lo sono per ignoranza ed imitazione a sentirsi sdoganati e liberi di “farsi giustizia da sé” come accaduto nella triste vicenda marchigiana. Cos’è la destra lo sappiamo.  Come dice Bersani “è quella cosa lì”  comprendendo in questa sintesi il pensiero economico conservatore e liberista (non liberale), il suprematismo, il nazionalismo spinto e così via. Quel che invece attendiamo ancora di sapere ( con qualche ansia) è cos’è e in cosa intende distinguersi la sinistra o comunque si voglia ribattezzare lo schieramento che si intenderebbe opporsi alla valanga nerazzurra. Il tempo stringe e i silenzi si moltiplicano.  

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E’ trascorsa poco più di una settimana dalla caduta del governo Draghi e dalla decisione del  Presidente Mattarella di indire le elezioni per il 25 settembre prossimo e già la campagna elettorale si avvita su questioni che niente hanno a che vedere con la drammatica contingenza economica e sociale del paese. Da una parte si rispolverano i temi consueti ma consunti della lotta allo straniero, della “flat tax” con contorno di promesse di prebende assortite che ignorano bellamente la situazione dei conti;  dall’altra si grida all’emergenza antifascista e si cavalcano prontamente scoop di stampa come quello sulla presunta intromissione della Russia di Putin nelle vicende che hanno condotto alla caduta dell’esecutivo,  dimenticando che da sempre le grandi potenze ficcano il naso negli interessi dei paesi strategicamente importanti ( e l’Italia lo è, nonostante tutto)  e sul tema almeno dal 1945 in avanti chi è senza peccato scagli la prima pietra… In questo quadro la destra, ormai orfana del centro, parte con tutti i favori del pronostico e può agevolmente respingere quel tipo di attacchi. In questi anni è cresciuta soprattutto cavalcando l’indignazione della gente verso una politica autoreferenziale e incoerente che si è sempre più chiusa nei palazzi integrandola con le solite roboanti corbellerie di Salvini che, pur restando tali , sono capaci però di solleticare una certa pancia irrazionale e razzista (che esiste  e della quale non ha senso negare l’esistenza). A corroborare il tutto ci sono poi le promesse di soldi  del Cavaliere o di quel che ne resta ( il denaro, l’unica lingua che conosca e che pratichi da sempre).   Ora, se è evidente che  temi come quelli della vicinanza a regimi illiberali come quelli russo e ungherese non possono non far parte dei prossimi due mesi  di propaganda da parte del cartello che vorrebbe opporsi alla vittoria annunciata di Fratelli d’Italia e satelliti, altrettanto vero è che non possono essere né il tema unico né quello centrale di una campagna elettorale calda non solo climaticamente. Il timore è che solo su questo si fossilizzi  il dibattito poiché appare arduo trovare una vera piattaforma comune in una alleanza che potrebbe andare dai democristiani di destra (Renzi e Calenda) fino alla sinistra radicale di Fratoianni. La gente però chiede altro.  Vuole risposte e proposte concrete perché di fuffa ne abbiamo piene le tasche . Temi ce ne sarebbero a iosa: dal lavoro che non c’è e che quando c’è è malpagato e sottopagato ( altro che reddito di cittadinanza !),  alla sicurezza sul lavoro ( da almeno due anni in Italia muoiono in media  due persone al giorno per incidenti sul luogo di lavoro, una vergogna da diciannovesimo secolo  ); da una reale e decisa lotta alla vergognosa evasione fiscale  ai problemi legati alla crisi energetica, alle politiche ambientali e delle risorse ecosostenibili;  dalla necessità di includere nel nostro paese chi ci è nato e ci è cresciuto e che ne costituisce una risorsa indipendentemente dall’origine (magari senza che sia necessario per questo  vincere una medaglia alle olimpiadi); dalla sanità massacrata ora dalla pandemia e prima dai tagli orizzontali dei maghetti dei bilanci fino alla sicurezza che è un tema che riguarda tutti  e  non è e non deve essere un tabù  perché non è scritto da nessuna parte che corrisponda a un utilizzo senza freni di manganelli e arresti perché la sicurezza si fa anche con politiche di prevenzione,  educazione e presenza dello Stato sul territorio. Insomma di agende, oltre a quella che Draghi ha dimenticato sul tavolo quando è andato a dire a Mattarella che s’era stufato d’ avere a che fare con una banda di rissosi inconcludenti, ce ne sarebbero più d’una senza bisogno di rincorrere demonizzazioni che storicamente portano anche sfiga. Il punto semmai è che quella strada lì è certamente più comoda e facile da percorrere, non prevede la necessità di scegliere, non impone una coerenza ideale. Il “peloton”  senza capo né coda che sembra destinato a formarsi sotto la regia di Enrico Letta può trovare facilmente in questi argomenti  un minimo comune denominatore e poco importa ( a loro) se a tutto questo non corrisponde niente o quasi niente nell’umore di chi sarebbe anche disposto all’ennesima apertura di credito purché ( finalmente) si faccia qualcosa che assomigli ad una politica di socialismo liberale. So bene che benché vi sia chi cita a sproposito Rosselli o il Partito d’Azione, se si varasse un programma su queste basi e con questa etichetta a fronte di una scossa immediata nell’elettorato che si riconosce in quell’ideale   scatterebbero immediati i distinguo e i “mapperò” ma del resto, come diceva Don Abbondio, “il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare” .

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Due ragazzi si conoscono da cinque anni, tra lei e lui non c’è nessun rapporto, si frequentano ma non c’è mai stato nulla, lei non ha nessuna intenzione di iniziare una relazione sentimentale.

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È stata annullata la multa che Amazon ha inflitto ad una dipendente per essere stata troppo tempo in bagno.

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Per arrivare a comprendere che non ci sono più i comici di una volta non c’era bisogno di aspettare l’infelice uscita di Pietro Diomede, un tizio che di professione vorrebbe fare ridere, ma che alla prova dei fatti riesce soltanto a trasmettere una tristezza sconfortante.