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Il  dramma quotidiano che le immagini ci trasmettono dal fronte di guerra ucraino ci sgomenta e ci frastorna. Assistiamo con dolorosa costernazione alle faticose, infruttuose, involute e spesso anche provocatorie capriole della diplomazia e della politica, stretta tra inconfessabili interessi  e velleità umanitarie, tra sanzioni perentorie imposte con la mano destra e mediate con la sinistra. Sfilano da un convegno all’altro i soliti volti addobbati alla bisogna mentre le bombe fanno strazio di civili inermi e nessuno riesce a fermare il sangue che scorre. Ci sarebbe, a dire il vero, una costosa e fastosa Organizzazione il cui scopo principale sarebbe quello di “mantenere e garantire  la pace mondiale, sviluppare le relazioni amichevoli tra le nazioni, perseguire la cooperazione internazionale”. E’ l’O.N.U. (Organizzazione Nazioni Unite).  Ha sede a New York in un bel grattacielo ed ha importanti uffici secondari sparsi per il mondo. E’ stata costituita negli ultimi anni del terribile sfacelo della seconda guerra mondiale con lo scopo dichiarato di evitare che si ripetesse il disastro che si era appena compiuto. Purtoppo alla prova dei fatti è servita a poco per evitare le guerre che si sono generate qua e là nel mondo e si è fatta notare soprattutto per la sua assenza ed inconsistenza pratica. Il fatto è che nel crearla le nazioni vincitrici della guerra si sono riservate un privilegio non di poco conto che è rappresentato dal diritto di veto, un artificio  che blocca inesorabilmente qualunque iniziativa di questo ente quando in ballo vi siano interessi importanti di uno degli stati leader, ovvero U.S.A., Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia ( diciamo le prime tre…). Messe così le cose questa gigantesca struttura, lungi dall’essere un luogo di mediazione e di interposizione in caso di bisogno (avrebbe truppe proprie delegate a frapposi tra opposti schieramenti al fine di fungere da “cuscinetto” di pace e favorire o consentire trattative) ,   rappresenta una ipocrisia istituzionale permanente. Lo si era già riscontrato in passato, lo si vede ancora una volta oggi, quando il massimo che è riuscita ad esprimere è stata una risoluzione di condanna che agli effetti pratici riveste né più ne meno la stessa portata di un’esortazione  del  Papa dal balcone di piazza San Pietro o di una marcia di generosa testimonianza civile.  Dal momento che gli equilibri geopolitici mondiali stanno nelle mani di americani,  cinesi e russi ( con questi ultimi in rimonta dopo la dissoluzione dei soviet  ed il revanscismo panslavista di Putin) e che ognuno di loro può bloccare il funzionamento dell’O.N.U. viene davvero da chiedersi cosa ci stia a fare quella pletora di funzionari incravattati in giro per il mondo.  In questo ultimo conflitto  l’assenza di Antonio Guterres, segretario generale, è ancora più sonora dell’impacciata incapacità dell’Unione Europea. Non si hanno notizie di telefonate o contatti, ufficiali o meno, con le parti in causa. Si assiste predisponendo, se del caso, una nuova mozione contro l’orrore da pubblicare sul bollettino ufficiale.  Per ora la pratica è stata chiusa con la citata ed insignificante votazione della mozione di condanna. Si va avanti pensando ad altro. Una concreta ipotesi di lavoro sarebbe, per esempio, come sciogliere un consesso che per il 2022 prevede di costare al mondo 3,12 miliardi di dollari. Si potrebbe spenderli meglio senza grandi difficoltà…

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Qualcuno potrebbe pensare ad una spietata nemesi della storia; sono proprio loro, i russi,  gli inventori della parola Pogrom,  un termine passato a definire in senso esteso una sistematica repressione contro una minoranza etnica o religiosa di cui furono vittime in principio, come usava prima di allora (e poi anche dopo) gli ebrei, ad essere ora additati al pubblico ludibrio, messi all’indice, condannati alla “colonna infame” per conseguenza della brutale aggressione voluta dal regime di Putin contro l’Ucraina. Una condanna sacrosanta se ci si riferisce alla struttura di potere del Cremlino, agli oligarchi pasciuti e coltivati dal nuovo zar, all’esercito, a tutto ciò che alimenta e sostiene un regime spietato e oppressivo che da anni ha sottomesso la società ed ambisce a sottomettere altre parti del mondo. Una condanna che diventa però parossistica, demenziale e ingiustificata quando si pretende di voler identificare “tout court” tutto ciò che è russo, che è stato russo, che sarà russo con qualcosa da mandare al rogo. In un mix scellerato di omologazione mentale,  servilismo, cinismo, pressapochismo e superficialità ( per tacer di qualche buona dose di paraculismo che non manca mai) assistiamo alla pretesa di predisporre lezioni comparate su Dostoevskij e scritturi ucraini, come se se la letteratura, l’arte si potesse pesare come un manuale di diritto comparato. In Francia si vorrebbero bandire i registi russi dal Festiva di Cannes, altrove si alza il sopracciglio se appena qualcosa sa di Russia ( foss’anche l’insalata). Si cacciano e licenziano musicisti, si fanno ipotetiche liste di proscrizione ignorando che la maggior parte degli intellettuali è da tempo su posizioni fortemente critiche verso il regime di Putin ( se non decisamente all’opposizione e magari trasferito all’estero). Si sono giustamente bandite le federazioni sportive perché rappresentano e sono strumento del potere ma i singoli atleti, se non si pitturano il petto con simboli di guerra come il ginnasta finito su tutti i giornali, avrebbero anche loro diritto di continuare a fare il loro lavoro. Mi chiedo come si possa pensare di gettare alle ortiche una delle culture più grandi e importanti d’Europa. E’ vero, l’azione guerresca è insensata, vergognosa, ingiusta. E’ vero Putin è un dittatore. Lo scopriamo adesso? In quanti lo hanno osannato e gli hanno consentito di arrivare fino a quello che accade oggi ? E allora che si fa ? Si butta a mare l’opera di Solženicyn (che oltretutto ha scontato in Siberia la sua opposizione al regime dei soviet) Si buttano Bulgakov, Pasternack, Eremburg, Grossman, Nabokov ? E via anche i pittori come Kandiskij, gli scienziati a partire da Sacharov anche lui graziosamente invitato a trascorrere qualche mese nell’aria salubre della Siberia…e si potrebbe continuare con registi, come Sokurov che ha più volte condannato il totalitarismo, o come Viktor Kossakovski e Andrei Zviaguintsev che hanno scritto pochi giorni dopo l’ingresso delle truppe in Ucraina chiedendo “perdono per questa catastrofe”.  Perché poi se si parla di mettere al bando si potrebbe cominciare anche da quei personaggi che anche tra artisti, letterati e affini si sono genuflessi  davanti a Putin, da Depardieu che nel 2013 ha voluto il passaporto russo contro la Francia che gli chiedeva di pagare le tasse  a tutti (tanti) quei protagonisti del Jet set Hollywoodiano che si possono vedere estasiati in qualche filmato di pochi anni fa mentre l’uomo che portava finalmente il liberismo nel paese dei comunisti si esibiva al loro cospetto. Ed infine, ma forse più di tutto; in poco più di una settimana ci sono stati oltre 15.000 arresti nelle principali città russe per proteste contro la guerra. Anche questi 15.000 ed i tanti che si oppongono a rischio della propria libertà sono da mettere al bando ? Un popolo non è, non sarà mai , quello che si vede guardando le stanze di un potere violento e criminale. Un popolo è cuore e sentimento, cultura e storia. Lo è anche quello russo che dovremmo cercare di staccare dal suo aguzzino e non gettarlo nelle sue braccia per un ottuso, improvvido e infondato senso di superiorità.       

  

 

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L’orrore ci sfila dinanzi agli occhi, ogni giorno più terribile, ogni giorno più violento. Dinanzi alle immagini devastate e devastanti che arrivano dall’Ucraina l’occidente è chiamato non solo ad un sostegno umanitario, finanziario, solidale, ma anche ad una presa di posizione forte davanti all’aggressiva prepotenza di Putin. La questione centrale che interroga oggi tutto il mondo che sostiene la democrazia come sistema politico ed i diritti civili come valori fondanti delle proprie società è come fermare quello che appare non solo un rigurgito di nazionalismo ma anche un progetto di espansionismo con l’obiettivo dichiarato di mettere fuori gioco la parte ovest del mondo, quelle democrazie che il dittatore russo definì già nel 2019 in una intervista al Financial Times ( ignorata dai più  come molti altri segnali  che venivano da quella parte)  “obsolete ed inadatte a gestire la modernità”. Tutto concorre a far ritenere che la vicenda iniziata il 24 febbraio non sia soltanto un regolamento di conti regionale, un mix tra il complesso dell’accerchiamento che angustiava il regime sovietico ed una riedizione dell’antica aspirazione zarista allo sbocco sul “mare caldo”, ma piuttosto una prova generale di un’idea più vasta di ridefinizione del mondo. Per questo diventa ora inattuale discutere sulle origini del conflitto, sulle colpe e le violenze  reciproche ( che pure ci sono), su quello che gli ucraini hanno fatto o non fatto nelle zone del Dombass già da otto anni martoriate da una guerra silenziosa ed ignorata per ragioni d’interesse da parte di tutti. Per questo diventa solo un  generoso esercizio di utopia schierarsi con chi ritiene che non si debba sostenere la resistenza di Zelenski e dei suoi concittadini anche con l’invio delle armi fermandosi, se ancora si può e fino a che si potrà, sulla soglia di una guerra di più ampie dimensioni che avrebbe conseguenze inimmaginabili.  Non si tratta qui di assecondare istinti guerrafondai ma semmai di evitare ulteriori e maggiori disastri. Solo ogni tanto e troppo poco ci si richiama alle vicende del 1938, all’atteggiamento remissivamente suicida che assecondò ed insieme stimolò le velleità allora germaniche . Le similitudini sono sinistramente numerose ed in parte già compiute. Oggi ci sono dati di fatto che sono incontrovertibili: c’è un aggressore e c’è un aggredito. Potrebbe essere sufficiente ma  non basta. C’è da una parte una concezione della politica come potenza che ci riporta indietro di ottanta anni  e dall’altra il rispetto delle regole e dei valori per i quali i nostri padri ed i nostri nonni hanno combattuto e sconfitto regimi altrettanto oppressivi e violenti di quello che regna a Mosca. Consentire a Putin di vincere l’Ucraina significa esporsi al rischio che domani la fame di potere dell’oligarca del Cremlino si spinga altrove; alla Moldavia ( di cui già occupa una piccola parte, la Trasnistria, anche qui nell’assenso e nel silenzio colpevole di chi avrebbe dovuto impedirlo) oppure ai paesi baltici, in un crescendo di tensioni che porterebbe inevitabilmente laddove si vorrebbe evitare di cadere oggi,  con l’aggravante di avere nel frattempo moltiplicato la forza, la sicurezza, la protervia dell’aggressore.  Per questo non possiamo permetterci di restare neutrali. Sebbene non si debba nemmeno per un istante smettere di lavorare per una soluzione diplomatica che porti alla fine del conflitto, sebbene alla fine resti convinto che comunque evolva la situazione sul terreno (poche possibilità oggettive per gli ucraini) Putin vincerà la battaglia ma perderà la guerra, perché non ha contro solo il modesto esercito ucraino ma l’intero popolo di quella nazione (e la storia, ignorata e vilipesa, si prenderà la rivincita sull’arroganza perché si sa che “el pueblo unido jamà serà vencido”. ) non possiamo consentire che lo logica della violenza e dell’aggressione torni ad essere la regola che informa le relazioni internazionali.

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Accadde sempre più spesso, ma ogni volta non finisce di stupire, l’improvvisa scoperta della vera natura di certi potenti prima spesso coccolati e corteggiati per interesse o  mera cortigianeria. Così accade da qualche giorno, mentre le bombe cadono sui palazzi e tra la gente dell’Ucraina, con Vladimir Putin. Il dittatore russo, perché questo è Putin da anni, è oggi attaccato da capi di stato, politici, giornalisti che ne descrivono le nefandezze  e  la follia che ha acceso una guerra nel cuore dell’Europa, un conflitto dagli sviluppi potenzialmente devastanti non solo per i territori attualmente investiti dall’orrore e dal terrore delle armi. Eppure fino a pochissimi giorni fa il leader del Cremlino era guardato con tolleranza, persino con simpatia, i suoi emissari accolti a braccia aperte in tutto il mondo e da tante organizzazioni perché portavano (tanto)denaro,  molti erano i politici che entravano negli staff dirigenziali di società russe in virtù di retribuzioni faraoniche ( l’ex cancelliere tedesco Schroder è entrato ad inizio febbraio nel CdA di Gazprom, la longamanus  putiniana nel settore energetico ).  Che dire poi delle copertine dedicate al nuovo zar di Mosca ? Da “Time” che lo ha proclamato uomo dell’anno nel 2007 a “Forbes” che lo ha inserito dal 2013 al 2016 nella lista delle persone più potenti del mondo.  Non si contano poi gli apprezzamenti  pubblici dei politici nei confronti di Putin con Trump che ancora 5 giorni fa lo definiva “un genio”, con il candidato di destra alle prossime elezioni presidenziali francesi Eric Zemmour che già nel 2018 proclamava le sue preferenze dichiarando nostalgicamente che “Avrebbe potuto essere francese”, per non dire delle note simpatie di Orban e rima ancora di Berlusconi (con l’iconografico “lettone”) e di tutti i sovranisti sparsi per l’Europa (Meloni compresa) fino ad arrivare alle  genuflessioni del capo della Lega Matteo Salvini le cui dichiarazioni d’amore verso  Putin fanno da giorni il giro della rete. Ma anche i vari governi , di destra, centro o sinistra, succedutisi negli anni e magari non scevri da sospetti verso la figura del leader russo sono esenti da responsabilità. Eppure la carriera di Vladimir Vladimiromic era nota, dalla sua formazione all’interno di quell’ambientino di anime pie che era il KGB (istruttivo il modo in cui risolse l’assalto dei manifestanti tedeschi alla sede dei servizi segreti dopo la caduta del muro) fino alla irresistibile ascesa sotto l’ombra di Boris Eltsin. Come se non bastasse almeno dal 2014, con l’annessione della Crimea, era abbastanza evidente dove puntava la politica del capo della  Federazione Russa. Allora vien da chiedersi: chi ha deciso di legarsi mani e piedi alle forniture di gas russe che da sole coprono il 40% del fabbisogno dell’occidente europeo ? Chi ha concesso ad un paese che andava progressivamente, evidentemente e inesorabilmente verso  la soppressione di ogni libertà democratica prima le olimpiadi invernali, poi i mondiali di calcio, vetrine luccicanti a coprire la violenza della repressione di ogni opposizione ? Chi ha spalancato la porta ai magnati e miliardari che dietro precise istruzioni e coperture dall’alto acquistavano società di calcio o sponsorizzavano grandi eventi ? E gli efficientissimi servizi segreti inglesi e americani che oggi sanno tutto di quello che si muove tra le macerie dei disgraziati ucraini, dov’erano quando Putin sviluppava l’economia nazionale in modo da renderla il più possibile immune da eventuali sanzioni , quando la Russia denunciava unilateralmente il patto per la non proliferazione delle armi convenzionali in Europa e ricominciava ad armarsi ? O forse dobbiamo pensare che fino a che  si ammazzavano  o minacciavano giornalisti ritenuti scomodi  o avvelenavano oppositori  interni tutto andava bene ? Sinistre analogie accompagnano l’impotenza di oggi alla arrendevolezza di ieri…

 

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Una guerra alle porte d’Europa, una pandemia che è finita solo nella smania di normalità legata alla caccia al profitto, una crisi economica generata dalle tensioni sul mercato dell’energia che si sta abbattendo come un ciclone su piccole aziende e famiglie, tensioni sociali esasperate da un edonismo ed un individualismo che non trova più argini. Questo ci racconta la cronaca ogni giorno ed insieme a questo assistiamo ogni giorno al sempre più sconcertante balletto insensato della politica, con partiti, movimenti o quello che sono impegnati in un gioco allo specchio senza senso e senza soste. Occupati a rimirare le proprie fattezze e ad inventarsi tattiche di breve respiro, impegnati in giravolte continue ed esasperanti, incapaci di vedere oltre il proprio ombelico. Occupano le scene televisive con monologhi privi di sostanza, conditi di messaggi subliminali diretti a controparti simili a loro in una ignoranza crescente e sempre più spocchiosa della realtà. Non gli interessa niente che non sia la difesa dei loro privilegi, non si preoccupano di nulla che non sia il mantenimento del loro scranno. Si affoga sempre di più in una burocrazia al solito oppressiva ed ottusa che è riuscita nell’impresa che pareva impossibile di soffocare anche l’informatica in un abbraccio mortale di passaggi e parole d’ordine da ricordare e senza le quali non si superano gli innumerevoli ostacoli frapposti alla vita quotidiana dei cittadini. Manca una seppur minima visione prospettica, un’idea di paese che vada oltre le impellenze quotidiane. Sono anni ormai che non si governa più una nazione ma le emergenze, affrontando di volta in volta quelle che si presentano con l’intento di limitare i danni più che di offrire una soluzione. L’orizzonte non è quello dell’avvenire che deve attendere i giovani, delle opportunità che pure ci sarebbero da cogliere, soprattutto a fronte dei molti soldi che dovrebbero arrivare dall’Europa e che rischiamo di disperdere in mille rivolli insignificanti per dare una svolta all’Italia ( ma significanti assai per le piccole clientele e le grandi furbizie, più o meno legali). No; l’orizzonte sono al massimo le prossime elezioni nelle quali c’è da spartirsi la torta sempre più piccola rappresentata dai pochi che non si sono stufati definitivamente di certe facce per poi tornare a rinchiudersi dentro i palazzi, autoreferenziali e senza più alcuna contezza di quello che sia la vita reale. Lontani dalle numerose importanti sfide ( il clima , il lavoro, la salute su tutti ); pronti ad accusare di qualunquismo chiunque li accusi, ma incapaci di offrire niente altro che le loro parole, sempre più vuote,sempre più lontane, sempre meno ascoltabili. E’ così che mentre non ti capaciti di tanta irresistibile pochezza unita ad altrettanta incontenibile tracotanza sovvengono, spietate, le parole profetiche sulla politica di Giorgio Gaber nella sua “Io se fossi Dio”: “ Tutti quelli che fanno questo gioco c’hanno certe facce che a vederle fanno proprio schifo…son nati proprio brutti..o perlomeno tutti finiscono così…, dall’alto del mio trono vedrei che la politica è un mestiere come un altro, e vorrei dire, mi pare Platone, che il politico è sempre meno filosofo e sempre più coglione”. Scritta quarant’anni fa, sembra un’istantanea di questa classe politica in un contesto che più passa il tempo meno appare emendabile.

 

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Una settimana che nemmeno Goldoni avrebbe saputo scrivere così. Altro che “baruffe chiozzotte”: goffe dichiarazioni smentite quasi contestualmente al momento in cui venivano fatte, candidature tra l’impresentabile e l’improponibile, nomi anche interessanti per dare un segnale di cambiamento apparsi e scomparsi come nemmeno i miraggi nel deserto, fulminate dai veti degli interessi di parte e di qualche risentimento datato, conferenze stampa surreali; una parte dello schieramento politico in vorticoso valzer di proposte non si sa se convinte o di facciata (il centrodestra) ed un’altra parte immersa in un vuoto pneumatico di idee, ferma in difesa con la pretesa di far credere che sarebbe stata pronta a partire in contropiede quando invece era solo immobilizzata nella propria pochezza ( il centrosinistra). Alla fine la scelta di implorare Mattarella di restare ancora al suo posto nonostante le numerose dichiarazioni in senso contrario che l’alto senso delle istituzioni e la profonda conoscenza delle dinamiche costituzionali aveva suggerito al presidente uscente ( ed ora rientrante). Un naufragio clamoroso da parte dei partiti, di tutti i partiti, che hanno sancito una volta di più non solo il loro profondo stato di crisi e la distanza siderale dalla società dei “vivi”, ma anche una profondissima ignoranza (in senso letterale) del sistema politico nel quale pretenderebbero di comandare e decidere. Hanno perso tutti ed hanno perso sonoramente la faccia. Salvini “trottola impazzita” che ha imposto tattica e strategia al proprio schieramento sbagliando tempi, modi, forma e sostanza, Berlusconi sospeso tra grottesco e patetico nelle sue impuntature di candidato d’obbligo, Giorgia  Meloni che ha avallato le scelte di Salvini per mandarlo a sbattere ed assumere definitivamente il ruolo di capofila nell’ala destra dello schieramento politico ma sempre più isolata in un populismo con poche prospettive. Ha perso Conte, sempre più solo all’interno di un M5S che lo ha sempre percepito come corpo estraneo e che si accinge ad espellerlo definitivamente, ha perso Letta incapace di una qualunque indicazione, di una qualunque presa di posizione immobilizzato dalla frattura interna ad un partito che ancora si divide ( e si dividerà sino a che non si sarà fatta chiarezza al suo interno) tra i renziani occulti e gli esponenti della sinistra democratica. Ha perso Renzi che sognava di essere decisivo con la sua pattuglia di parlamentari scippati al PD al momento della scissione e più che tripli rispetto a quanti spetterebbe al suo partito se fossero corrispondenti alle intenzioni di voto desumibili dai sondaggi, che ha visto sconfitti i propri candidati ed è risultato ininfluente rispetto all’esito finale ( sebbene con la consueta spocchia se ne presenti protagonista). Da sabato sera va in onda la commedia dell’assurdo che vede sfilare tutti i leader per intestarsi la rielezione di Mattarella. Il paese sempre più distante guarda attonito. Nessuno che si ponga nemmeno il problema di quanto questo esito ci porti sempre più fuori dal quadro dei poteri così come lo aveva definito la Costituzione, nessuno che consideri come la deriva dei partiti, il loro svilimento e la loro perdita di presa rispetto all’opinione pubblica rinforzi in realtà il ruolo e l’idea “dell’uomo solo al comando”, un sentimento che si diffonde in maniera pericolosamente crescente in un’opinione pubblica esausta ed arresa davanti a tanta mediocrità. Ora il timone del governo è in mano a Mario Draghi, un uomo che, pur rappresentando l’élite finanziaria e non essendo scevro da tentazioni di insofferenza rispetto alla dialettica politica, è comunque cresciuto dentro contesti che fanno del rispetto dell’equilibrio democratico capisaldi del proprio patrimonio culturale;  ma cosa accadrebbe (ed accadrà) il giorno che su quella poltrona dovesse salire uno dei molti ignoranti di democrazia? Magari questa vicenda fosse stata solo tanto rumore per nulla……

 

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Il cinquantenne di Biella convinto No Vax, ma bisognoso di Green Pass, che si è presentato all’hub vaccinale porgendo all’infermiera una spalla di silicone vince di slancio il premio “Consumatore abusivo di ossigeno 2021”.