Bercia nei social con noi!

Ferve il dibattito sulle responsabilità dei ritardi nell’istituzione della zona rossa in Val Seriana tra la fine di febbraio ed inizio marzo.

La vicenda nasce dalle denunce delle persone che si sono trovate a dover fare i conti con l’esplosione del contagio da Covid 19 senza alcuna assistenza reale sul territorio, alle prese con indicazioni fuorvianti e confuse, nella sottovalutazione prima e nel panico poi delle strutture sanitarie travolte dall’ondata micidiale della pandemia; persone che hanno perduto in maniera straziante genitori, nonni, persone care. Giusto dunque fare una valutazione ed accertare se e come si sarebbe potuto fare di più e meglio.

Peccato che la faccenda sia ben presto diventata preda della battaglia politica da una parte e dall’altra, tra chi impugna la potente arma della legge 883/1978 e seguenti (quasi un modello di mitragliatore ...) e chi accusa il governo di non aver saputo gestire e leggere gli allarmi. Tra chi accusa i giudici e chi li difende, questa volta con l’effetto  un po’ straniante di un rovesciamento delle parti rispetto a quanto accade di solito.

Anche in questo caso, come in tante altre vicende della cronaca e della politica, spariscono la prospettiva ed anche la memoria. Torniamo per un momento a quei giorni, tra la metà di febbraio e l’8 marzo: quello che stava accadendo non era per niente chiaro; cominciava il festival dei virologi e delle loro opinioni in contrasto spesso anche con loro stessi a distanza di pochi giorni, parecchi opinionisti si affannavano a smontare l’allarme che montava e, attenzione, non erano solo quelli della destra giornalistica che andava a rimorchio delle consuete esternazioni “a vela” ( cioè spesso secondo il vento) di  Matteo Salvini.

In Lombardia la frenesia produttivistica spingeva non solo Confindustria ma anche qualche sindacato a chiedere che non si fermasse la produzione, che il PIL andava tutelato e che alla fine ce la saremmo cavata con qualche perdita che non giustificava il fermo globale. Si andava in fabbrica e a fare l’aperitivo (Zingaretti a Milano con Fontana e Sala, Gori e consorte a Bergamo) per dimostrare quello che in realtà ancora nessuno sapeva bene. Il caos ed il dibattito li ha risolti il virus diventando un tornando che si portava via ogni giorno decine di persone, con l’effetto benefico di silenziare almeno per un po’ lo sciocchezzaio quotidiano.

Viene meno anche la memoria, si è detto: nessuno pare ricordarsi oggi di aver fatto titoli come “Virus ora si esagera. Non ha senso penalizzare ogni attività” (Libero, 27 febbraio) oppure “Sanno solo chiudere” (il Giornale, 5 marzo), né di aver girato video o fatto dichiarazioni in tv che spingevano a continuare a produrre perché era più importante. Tutto azzerato.

Ora dai telegiornali ai social si attacca Conte o lo si difende, in proprio o con il fuoco di fila dei corifei allineati, sulla base di calcoli e strategie che hanno come solo obiettivo guadagnare o recuperare consenso elettorale e che per il modo in cui sono utilizzate fanno tornare alla mente altri tragici e sinistri esercizi di cinismo (“qualche migliaio di morti per sedermi da vincitore al tavolo delle trattative “ ricorda qualcosa a qualcuno ‘?).

E’ un dato di fatto che in quella zona d’Italia (ed in tutta la regione) qualcosa sia andato per il verso sbagliato. Accertare responsabilità è doveroso ma il rispetto per chi è caduto colpito a morte da una epidemia medievale all’epoca della globalizzazione, dovrebbe imporre a tutti di trattare con molta sobrietà l’argomento.

Riferire e attendere le valutazioni della magistratura, cercando magari di indagare nel frattempo, con gli strumenti di un giornalismo libero e curioso, come quei giorni sono stati vissuti ad Alzano e Nembro, se è vero che ci sono state pressioni e comportamenti eufemisticamente non prudenti in alcune aziende, se quanto avvenuto ha condotto a ripensare la logica del profitto a tutti i costi che pervade e invade le menti ed i cuori sulla scia di una pressione sociale che vorrebbe imporre ( e purtroppo spesso lo fa) il successo ed il denaro come i veri valori dell’oggi. Il tutto sottovoce o quasi, come una volta si usava fare per un po’ di tempo quando il lutto era ancora fresco.