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Il patrimonio della Sicilia a rischio (e non solo quello ...)

La notizia sarebbe passata inosservata se i soliti guastafeste del “Fatto Quotidiano” non gli avessero dedicato una pagina intera. Si tratta della prosecuzione con altri mezzi ( ed in altri luoghi) dell’idea di semplificazione dei renziani applicata nello specifico al patrimonio culturale della regione Sicilia. Il fatto, anzitutto. L’assemblea regionale di quelle terre si appresta ad approvare il disegno di legge 698/500 che prevede l’esautorazione delle soprintendenze dalla gestione delle autorizzazioni paesaggistiche e  la conservazione dei monumenti.

La proposta reca la firma dell’ex PD Luca Sammartino, trasferitosi armi e bagagli nelle file di Italia viva al seguito del leaderissimo di Rignano sull’Arno e trova il placet dell’assessore ai beni culturali della Regione Sicilia Alberto Samonà, in quota Lega, di fresca nomina e di altrettanto fresche polemiche scaturite dall’aver firmato nel 2001 odi elegiache sui gentiluomini delle SS e più recentemente per aver fatto parte della massoneria catanese.

I rischi di affidare la gestione del ricchissimo patrimonio paesaggistico, artistico e architettonico siciliano nella mani dei comuni, ovvero dei politici, sono di tutta evidenza. Inutile dilungarsi su quali e quanti interessi si potrebbero intrecciare sulle teste dei cittadini ed in danno di una terra già martoriata dalla criminalità ma orgogliosa e bellissima nei suoi palazzi, nelle sue Chiese, nelle sue coste.  Del resto l’idea viene da lontano.

Già ai tempi del “governissimo che fa benissimo” si era ipotizzata una riduzione se non una eliminazione delle ingombranti figure dei sovrintendenti, tecnici capaci di mettersi di traverso a qualche speculazione ed affaruccio che si potrebbe invece concretizzare presto e bene senza tanti impicci. Anche allora, vedi caso, si trovò sponda favorevole nell’atro Matteo, quello verde di bandiera ma non di ecologia.

Poco importa se l’art.9 della Costituzione impone la “tutela del territorio”; del resto il concetto che Renzi ed i suoi hanno della Carta fondativa della Repubblica è noto da tempo e non è cambiato neppure dopo  lo schiaffone del referendum  e la fine dell’esperienza a Palazzo Chigi. Ora, nella migliore tradizione di scuola democristiana ( intesa qui con accezione negativa come attitudine al sotterfugio, alla scelta di vie traverse, spesso nascoste o nascondibili  per raggiungere comunque l’obiettivo), si è scelto di operare laddove si può godere di una sponda amica ( riecco, vedi caso, la Lega  ),  oppure di una maggioranza blindata. Così accanto all’iniziativa di Sammartino si fa notare in queste settimane l’esternazione del sindaco di Firenze Nardella, anche lui fedelissimo del leaderissimo, che ha chiesto a gran voce libertà d’azione sul patrimonio storico e artistico di Firenze, suscitando l’immediato allarme di parte dell’opposizione a Palazzo Vecchio che già in passato ha dovuto segnalare una gestione allegra dei beni pubblici in città.

Nel capoluogo toscano infatti, diversi edifici demaniali  sono stati alienati a favore di grosse multinazionali che li trasformeranno in alberghi e residenze di lusso accentuando un’idea di turismo d’élite, sottraendoli all’uso pubblico e privando anche il Comune di possibili entrate. Un esempio è la cessione alla Fondazione Zeffirelli del complesso di San Firenze (ex tribunale, a due passi da Piazza della Signoria) per  l’allestimento di eventi culturali allo strabiliante canone di euro 5160 al mese ( per chi volesse togliersi lo sfizio ed approfondire il tema segnalo la bella inchiesta in 9 puntate “A chi fa gola Firenze” sul sito “per un’altra città”) .

Del resto l’esempio viene dall’alto se si pensa che il primo luglio 2013 l’allora sindaco Matteo Renzi affittò per una notte l’intero Ponte Vecchio per una manifestazione del marchio automobilistico Ferrari impedendo il transito a stupiti turisti e fiorentini.  Alle rimostranze dei cittadini rispose che il comune aveva fatto un affarone:  avrebbe infatti incassato 120.000 euro che lui, il sindaco buono, avrebbe destinato a finanziare le colonie per bambini disabili a cui la Regione ( cattiva) aveva tagliato i fondi.

Peccato che la storia ci dica che non c’era nessun taglio di fondi regionali e che nelle casse  dell’amministrazione siano entrati 60.000, la metà di quanto proclamato. Non stupisce ma preoccupa. Il dato più allarmante è che queste notizie passino sotto traccia, quasi che la tutela del nostro patrimonio paesaggistico, artistico e storico siano una questione di nessun rilievo e che siti archeologici e bellezze naturali si tutelino da sole e non si debba invece salvaguardarle dall’appetito degli speculatori e dei furbi. Facile andare in televisione a magnificare l’Italia bella, riempirsi la bocca con l’importanza del turismo per la ripresa economica del paese, soprattutto ora che dobbiamo risollevarci dal black-out della quarantena. Con gli slogan non si fermano gli affari loschi, anzi magari ci si mette lo zampino…