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La morte di Rossana Rossanda, una perdita per lo spirito della sinistra./

Ieri se n’è andata Rossana Rossanda, una vita da combattente rigorosa e coerente al servizio delle proprie idee. Intellettuale finissima, è descritta da chi l’ha conosciuta da vicino come una donna carismatica e poco propensa alle debolezze, almeno in pubblico. Una figura austera nella redazione de “Il Manifesto” che ha diretto a più riprese, una donna forte e combattiva legata ad un concetto purissimo del comunismo e della sinistra al quale non ha avuto timori a sacrificare posizioni di rilievo e vecchi sodalizi. La sua “guerra dei nasi” è stata tra quello di Cirano, come lei idealista e alieno a compromessi, e quello dei tanti Pinocchi prodotti dalla sinistra ufficiale. Prima ha lottato contro quella stretta tra il dogmatismo ottuso del vecchio “partitone” e il pragmatismo eccessivo del partito socialista, destinato a sfociare nel consociativismo con i vecchi marpioni democristiani e con loro a spartire paese e (spesso) malloppo; poi contro la deriva mercantilistica e possibilista all’infinito di una sinistra sempre più smarrita e sbiadita, finita in mano a improvvisatori mediocri ed arrivisti con pochi scrupoli. Non ha mai fatto sconti a nessuno, nemmeno a sé stessa, ammettendo negli ultimi anni di avere molto combattuto ed anche molto sbagliato. Quando coraggiosamente criticò l’invasione sovietica di Praga e venne cacciata dal PCI (contro il parere di Enrico Berlinguer) insieme a Lucio Magri, Luigi Pintor, Luciana Castellina e Valentino Parlato, aveva probabilmente inclinato oltre il giusto al fascino del mito cinese che, meno noto, poteva apparire allora più vero secondo la logica del marxismo.  Negli anni della guerra fredda non ebbe timore ad indicare in un certo linguaggio brigatista, fatto di schemi preconcetti e luoghi comuni, le scorie della vecchia scuola di indottrinamento sovietica imposta ai quadri dei partiti “fratelli” .Rifiutava di essere un mito, come invece era per tante e tanti, ed ancora nel 2005 alle soglie degli ottanta anni si dichiarava “alle prese col mondo e con il tempo”. Negli ultimi anni si era defilata. Un po’ l’età, un po’ la malattia, molto (io credo) il senso di ripulsa verso quello che è diventata la politica italiana; un teatrino di nani e ballerine dove non esiste più rispetto né per l’avversario ( sempre più spesso nemico per una comoda semplificazione) , né per le istituzioni né  (e soprattutto ) per i cittadini. Ancora lucidamente nel 2018 dichiarava a “Repubblica” che “se vince Salvini la colpa è nostra. La sinistra ha tradito le speranze”. Una frase che riassume il suo concetto di sinistra che va ben al di là dell’esistenza di un partito e di una organizzazione che ad un certo punto era quasi diventati un fine a sé stesso. La sua Sinistra era (ed è)  l’idea di riscatto degli oppressi, di liberazione dalle ingiustizie, la  ricerca dell’equità e della parità di opportunità. E’ la carica ricoperta per servire il popolo e non per essere serviti, è la parola usata per smascherare e non per travisare, è quella brezza  che soffia e gonfia le bandiere dell’orgoglio di una raggiunta dignità dopo secoli di sfruttamento. Questa idea, che coltivava nell’anima e per la quale si è battuta come il personaggio di Rostand, è andata a sbattere contro la lunga teoria di epigoni del burattino di Collodi, gli ultimi dei quali erano solo reazionari mascherati. In un libro pubblicato nel 2005 si autodefiniva “la ragazza del secolo scorso” e lo spiegava così: “ Io sono del ‘900 e lo difendo. È stato il primo secolo nel quale il popolo ha preso la parola dappertutto. E dove l’ha presa, l’ha presa sostenuto dalla sinistra”. Come poteva condividere e non  compiangere questi anni duemila nei quali il popolo sta progressivamente perdendo la propria soggettività, diluita in piccoli egoismi quotidiani; un’epoca nella quale il martellamento compulsivo  di media e social sta progressivamente restituendo la  gente al ruolo di massa di manovra, pronta a schierarsi al fianco di chi grida più forte, di chi solletica le paure invece che le speranze, di chi cavalca la scorciatoia dello slogan invece che quella del pensiero. Addio Rossanda, ci mancherai più di quanto tu stessa,schiva e riservata, avresti mai potuto immaginare.