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il rapporto Censis 2020 presenta un’Italia sconcertante./

Quattro su dieci. Sono gli italiani favorevoli al ripristino della pena di morte con grande prevalenza tra i giovani, come rileva il rapporto Censis uscito da pochi giorni. Un dato sconcertante e preoccupante, che ci allontana dal livello di evoluzione morale al quale pensavamo di essere arrivati e intacca certezze, come quella del rispetto della vita umana comunque, dovunque e per qualunque ragione, che credevamo ormai interiorizzate. Il fatto poi che la maggior parte di coloro che si sono dichiarati favorevoli alla pena capitale siano persone tra i 18 ed i 36 anni merita una riflessione che esime da responsabilità una generazione intera . Si potrebbe avere la tentazione di imputare gran parte della responsabilità alla classe politica di infimo valore culturale, morale, tecnico persino che da almeno venti anni ci governa; ma sarebbe crearsi alibi assolutori. Se infatti non si possono sminuire le responsabilità di chi ha ormai smarrito capacità di prospettive e chiarezza di idee, di chi s’arrabatta per la sopravvivenza quotidiana annodando sempre di più la spirale della burocrazia o inventandosi scorciatoie “ad personam” spesso condite da indicibili tornaconti personali, dall’altro lato non bisogna nascondere quello che non abbiamo fatto o non abbiamo saputo trasmettere ai nostri figli ( o, se volete ed ex-contrario, quel che gli abbiamo trasmesso). Cresciuti in una società che aveva saputo risollevarsi dalla crisi della guerra e che aveva conquistato importanti diritti civili lungo stagioni complesse e sofferte, abbiamo forse dato per scontato un po’ troppe cose, considerati acquisiti libertà di informazione, pluralità, diritto di sciopero, diritto alla salute. Così quando hanno cominciato a raccontarci che non era più il momento di chiedere e di lottare ma di pretendere ed alzare la voce, che non contava la solidarietà sociale ma solo l’affermazione personale , che tutto era dovuto e non importava come, abbiamo pensato che questo non fosse altro che il seguito di quella stagione di crescita, che dopo il boom economico e quello del debito pubblico si potesse continuare all’infinito senza preoccuparsi delle conseguenze ambientali, culturali, politiche. Forse per questo quando sono cominciate le crisi del capitalismo finanziario ( un altro dei tanti castelli in aria costruiti ad hoc ) non ci è venuto in mente di guardare se e dove avevamo sbagliato, ma abbiamo pensato di risolvere scaricando le colpe di volta in volta sempre sugli altri: sui politici, sui “diversi”, sugli extracomunitari. Il tutto in un crescendo di rabbia e di volgarità sdoganato anche da medium sempre più invasivi ed arroganti. La colpa non è mai la mia, la responsabilità personale si dissolve nell’aria e la smania di successo, di guadagno, di visibilità diventano sempre più debordanti. Non poteva questo distorto meccanismo mentale non trasmettersi ai figli, ai giovani che abbiamo cresciuto cercando di scansargli ogni problema, di spianargli ogni cunetta, di autorizzarli a qualunque comportamento fino a che non si sono dovuti confrontare con il mondo reale ed il mondo reali li ha presi a schiaffi. Con le basi che gli abbiamo fornito non sorprenda che la reazione sia quella di puntare l’indice fino ad acconsentire anche alla pena di morte purché “chi da fastidio” venga eliminato.  Sono presupposti che rischiano di mettere in discussione non solo la coesione sociale ma lo stesso concetto, la stessa esistenza della democrazia. Lo stesso rapporto Censis evidenzia che il 57,8% degli italiani sono disposti a rinunciare acriticamente alle libertà personali in nome della salute, delegando senza altro voler sapere. Il 38,5% sono pronti a rinunciare ai propri diritti civili per il benessere economico; “meglio sudditi che morti” la sintesi dell’Istituto di ricerca. Un quadro desolante. Vorrei poter dire che occorre combatterlo, vorrei poter fare appello ai valori fondanti della nostra Repubblica, ma forse nessun politico se li ricorda, nessuno di noi ha idea di cosa siano e poi non li pubblicano nei video dei social: non sarebbe divertente ( altro discrimine senza il quale niente pare avere appeal) ed allora è un guaio.