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In questi giorni tiene banco il ritorno dei talebani, giornali, tv e web inondati da immagini e grida di dolore, richieste di aiuto.

Il medioevo sta ritornando in una nazione, l’Afghanistan, dove negli anni 70 le donne andavano in giro con le minigonne mentre dagli anni Novanta in poi sono state private dei loro diritti fondamentali, rinchiuse tra le mura di casa, vittime dell’ideologia violenta del gruppo islamista. Viene da farsi qualche domanda, tipo come hanno speso il loro tempo gli eserciti che per vent’anni hanno cercato di garantire la stabilità ad un paese da sempre martoriato da mille contraddizioni. Una cosa è certa la democrazia non si può imporre con le baionette e i carri armati, la pace si costruisce con l’istruzione, diffondendo cultura, creando infrastrutture, assicurando sanità e diritti civili. Così a livello di promemoria vorremmo ricordare che 20 anni di presenza in Afghanistan sono costati, alle casse della nostra disastrata nazione, la bellezza di 8,7 miliardi di euro, dei quali ben 840 milioni sborsati direttamente alle Forze Armate afghane, quell’esercito di cartapesta che ha resistito giusto cinque minuti all’offensiva scatenata dai talebani. Adesso sul web proliferano gli strateghi di politica internazionale, gli Henry Kissinger de noantri, per qualche giorno gli esperti virologi laureati al circolo della sbornia fissa possono tirare un po’ il fiato e prendersi una meritata vacanza. È più che giusto indignarsi, sentire un brivido di paura correre lungo la schiena davanti alle immagini che ci giungono dall’Afganistan, però viene anche spontaneo da chiedersi quale democrazia pretendevamo di esportare noi italiani. Viviamo in un paese dove delle donne, ancora oggi, sono relegate in un ruolo di secondo piano da una società che non riesce a sdoganarsi da una mentalità patriarcale. Basterebbe menzionare l’esigua presenza di donne in parlamento, l’assenza del gentil sesso alla guida delle aziende e nei posti di potere in generale. Altro esempio: le donne medico oggi rappresentano il 40% del totale ma solo il 14% riesce a diventare primario, numeri che fanno riflettere, numeri che ci fanno capire che questo non è un paese per donne. Ma vorrei andare oltre, con i dati relativi al femminicidio: in Italia le donne vittime di omicidio volontario nel 2020 sono state 112, 111 nel 2019, 133 nel 2018. Delle 111 femmine uccise nel 2019 ben 55 ad opera del partner attuale, 13 dal partner precedente, 25 da un familiare, le restanti 5 da un'altra persona che conoscevano. Di media ogni tre giorni una donna viene fatta fuori da chi la considera un oggetto, la modalità è sempre la solita, la mano che colpisce è quella di un uomo che non accetta di essere lasciato. Una piaga che fa dell’Italia un paese retrogrado e incivile. Ma lo spettacolo indecoroso non si ferma a questo, c’è dell’altro. La legge italiana garantisce il diritto all’aborto da più di quarant’anni, ma per alcune donne ancora oggi avere accesso agli interventi di interruzione volontaria di gravidanza è molto difficile. Basta guardare i dati dell’ultima relazione del ministro della salute sull’attuazione della legge 194/1978 per inorridire: il 69 per cento dei ginecologi italiani è obiettore di coscienza, cioè si rifiuta di praticare le interruzioni volontarie di gravidanza. In cinque regioni e nella provincia autonoma di Bolzano la percentuale arriva o supera l’80 per cento, fino a raggiungere il 92,3 per cento di ginecologi obiettori del Molise. Sono inoltre obiettori anche il 46,3 per cento degli anestesisti e il 42,2 per cento del personale sanitario non medico. In questo paese medici dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale si rifiutano di svolgere il loro lavoro per ragioni morali, incrociano le braccia assumendo l’altezzosa posa dei giudici supremi puntando l’indice su chi, per ragioni che non conoscono e che non vogliono sapere, decide di ricorrere all’interruzione della gravidanza. Sono pagati dallo stato per farlo, esiste una legge arrivata al termine di una lunga battaglia civile, ma loro se ne infischiano con la complicità dei vertici delle aziende sanitarie. Ma l’arretratezza culturale della nostra società trova purtroppo altre conferme. Vogliamo dimenticarci di quella figura mitologica che porta il nome di Simone Pillon, senatore in quota Lega, e della sua concezione medievale del ruolo della donna nella società moderna? Certo che no. "Le femmine? Hanno maggiore propensione per le materie legate all'accudimento". È uno solo dei tanti commenti sessisti diffusi via social dal senatore Pillon, da sempre in prima linea contro la legge contro l'omofobia e strenuo sostenitore delle politiche anti-abortiste e del Family Day. Basterebbe ricordare una delle uscite più brillanti dell'esponente del Carroccio, quando attaccò un'iniziativa dell'Università di Bari che aveva deciso di ridurre le tasse in alcuni corsi per incentivare l'iscrizione delle studentesse. Pillon in quella circostanza dette il meglio di sé stesso, sfruttando la ghiotta occasione come un consumato bomber d'area di rigore: "è naturale che i maschi siano più appassionati di discipline tecniche, tipo ingegneria mineraria, per esempio, mentre le femmine hanno una maggiore propensione per l’accudimento, come per esempio materie come ostetricia". Della serie le cose impegnative lasciatele fare a noi uomini e cercate di rompere meno i coglioni. Pillon non si fa sfuggire una sola occasione per sparare cazzate, è successo anche dopo la vittoria degli azzurri al campionato europeo. Intervenuto in Senato durante la discussione sul Ddl Zan, ha declamato che l’Italia ha gli “anticorpi” per resistere all’idea della necessità del “superamento del binarismo sessuale”. Anticorpi che troverebbero riscontro anche nei recenti campionati europei di calcio: “Tutti abbiamo esultato per la vittoria dell’Italia agli Europei. È stato interessante vedere quale è stata la prima reazione dei giocatori. Non hanno telefonato al genitore 1 o al genitore 2. Hanno chiamato la mamma”. Il baciapile Pillon è una delle peggiori rappresentazioni del puritanesimo in salsa tricolore, quello che vorrebbe riportare indietro l’Italia di almeno 500 anni, più o meno la stessa apertura mentale dei talebani afgani. Il senatore Pillon parla la stessa lingua del mullah Omar, al compimento finale dell’opera di amalgama mancano solamente gli ultimi due dettagli: il turbante e la lunga barba. Dall’Emirato padano è tutto, a voi la linea…