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Cala ulteriormente l’affluenza elettorale ai ballottaggi delle amministrative.

Si stappano bottiglie di spumante sul ponte del Titanic. Mentre scrivo vanno in onda a reti unificate (pubbliche e private) elaborati onanismi volti ad analizzare i risultati del voto nei ballottaggi per la poltrona di sindaco in importanti città come Roma e Torino o in simbolici capoluoghi di provincia come Trieste, Varese o Latina. Un dato è scomparso quasi subito nelle ponderose circonlocuzioni verbali  nei soliti circoli chiusi dentro i quali si svolge ormai la vita politica italiana: l’astensionismo. Già molto forte al primo turno, il numero delle persone che si sono astenute dall’esprimere il loro voto è ulteriormente cresciuto in questo secondo appello, tanto da superare di poco il 40% a livello nazionale con picchi anche più bassi  nelle realtà periferiche delle grandi città. Tradotto in pratica significa che coloro i quali andranno a sedersi sulla poltrona di primo cittadino avranno raccolto sì e no il consenso di due concittadini su dieci.  Se non è la negazione della democrazia ci si va abbastanza vicini. Quel che non finisce di stupire è che nessuna parte politica si preoccupi più di tanto di questo elemento che mi parrebbe invece il punto centrale e più rilevante di questa consultazione. Il palazzo è talmente chiuso su sé stesso che gli basta un esito quale che sia per riprendere le schermaglie, i tatticismi, le faide interne, i ricatti. Ed il popolo, sempre più teoricamente sovrano, al quale è rimasta ( quando e se gli viene accordata) solo l’arma delle urne per far conoscere la propria opinione, viene bellamente corbellato dalla solita danza del potere. I problemi economici, l’emarginazione, la disoccupazione, gli effetti a volte silenziosi ma non meno pesanti di una pandemia che ha significato per tanti dover chiudere la propria attività senza una prospettiva, la lunga e tragica serie di morti bianche che stanno dimostrando come e quanto vengano progressivamente meno le tutele nei luoghi di lavoro; tutto sfuma in un delirio di dichiarazioni e ripicche, tentativi di “endorsement” sulle proteste ora dall’una ora dall’altra parte a mero fine strumentale dimenticandosi il giorno dopo di ciò che si è appoggiato il giorno prima se solo lo richiede il sondaggista di turno. Per non parlare dei figuri che si aggirano ormai solo nelle stanze che contano, intenti a ricamare strategie che gli consentano di annullare l’irrilevanza che gli spetterebbe come riflesso di un ormai inesistente consenso politico. Il Governo con la maggioranza più ampia della storia repubblicana è in realtà il governo più lontano dalla gente della storia repubblicana, sorretto o osteggiato da ectoplasmi che si giustificano da soli ma che in realtà non esistono (quasi) più. Cinque anni fa questo ribrezzo della politica fine a sé stessa si era materializzato nella valanga di voti finiti sui Cinquestelle. Ora che anche questo movimento ha dimostrato la pochezza e/o la furbizia di basso conio dei suoi esponenti l’ondata si è ritirata in un silenzio che fa più rumore dei tappi che saltano nell’incosciente ignoranza dell’isolamento. Si balla sul Titanic, inebriati da successi fasulli e dalla prospettiva della pioggia di monete d’oro in arrivo dall’Europa, ma nessuna forza politica avrà un futuro se non riparte dalla gente, dal lavoro, dal recupero del sociale mettendo al bando cinguettii, story telling e macchine del fango e se affondassero da soli non sarebbe poi nemmeno così tragico..