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Qualcuno potrebbe pensare ad una spietata nemesi della storia; sono proprio loro, i russi,  gli inventori della parola Pogrom,  un termine passato a definire in senso esteso una sistematica repressione contro una minoranza etnica o religiosa di cui furono vittime in principio, come usava prima di allora (e poi anche dopo) gli ebrei, ad essere ora additati al pubblico ludibrio, messi all’indice, condannati alla “colonna infame” per conseguenza della brutale aggressione voluta dal regime di Putin contro l’Ucraina. Una condanna sacrosanta se ci si riferisce alla struttura di potere del Cremlino, agli oligarchi pasciuti e coltivati dal nuovo zar, all’esercito, a tutto ciò che alimenta e sostiene un regime spietato e oppressivo che da anni ha sottomesso la società ed ambisce a sottomettere altre parti del mondo. Una condanna che diventa però parossistica, demenziale e ingiustificata quando si pretende di voler identificare “tout court” tutto ciò che è russo, che è stato russo, che sarà russo con qualcosa da mandare al rogo. In un mix scellerato di omologazione mentale,  servilismo, cinismo, pressapochismo e superficialità ( per tacer di qualche buona dose di paraculismo che non manca mai) assistiamo alla pretesa di predisporre lezioni comparate su Dostoevskij e scritturi ucraini, come se se la letteratura, l’arte si potesse pesare come un manuale di diritto comparato. In Francia si vorrebbero bandire i registi russi dal Festiva di Cannes, altrove si alza il sopracciglio se appena qualcosa sa di Russia ( foss’anche l’insalata). Si cacciano e licenziano musicisti, si fanno ipotetiche liste di proscrizione ignorando che la maggior parte degli intellettuali è da tempo su posizioni fortemente critiche verso il regime di Putin ( se non decisamente all’opposizione e magari trasferito all’estero). Si sono giustamente bandite le federazioni sportive perché rappresentano e sono strumento del potere ma i singoli atleti, se non si pitturano il petto con simboli di guerra come il ginnasta finito su tutti i giornali, avrebbero anche loro diritto di continuare a fare il loro lavoro. Mi chiedo come si possa pensare di gettare alle ortiche una delle culture più grandi e importanti d’Europa. E’ vero, l’azione guerresca è insensata, vergognosa, ingiusta. E’ vero Putin è un dittatore. Lo scopriamo adesso? In quanti lo hanno osannato e gli hanno consentito di arrivare fino a quello che accade oggi ? E allora che si fa ? Si butta a mare l’opera di Solženicyn (che oltretutto ha scontato in Siberia la sua opposizione al regime dei soviet) Si buttano Bulgakov, Pasternack, Eremburg, Grossman, Nabokov ? E via anche i pittori come Kandiskij, gli scienziati a partire da Sacharov anche lui graziosamente invitato a trascorrere qualche mese nell’aria salubre della Siberia…e si potrebbe continuare con registi, come Sokurov che ha più volte condannato il totalitarismo, o come Viktor Kossakovski e Andrei Zviaguintsev che hanno scritto pochi giorni dopo l’ingresso delle truppe in Ucraina chiedendo “perdono per questa catastrofe”.  Perché poi se si parla di mettere al bando si potrebbe cominciare anche da quei personaggi che anche tra artisti, letterati e affini si sono genuflessi  davanti a Putin, da Depardieu che nel 2013 ha voluto il passaporto russo contro la Francia che gli chiedeva di pagare le tasse  a tutti (tanti) quei protagonisti del Jet set Hollywoodiano che si possono vedere estasiati in qualche filmato di pochi anni fa mentre l’uomo che portava finalmente il liberismo nel paese dei comunisti si esibiva al loro cospetto. Ed infine, ma forse più di tutto; in poco più di una settimana ci sono stati oltre 15.000 arresti nelle principali città russe per proteste contro la guerra. Anche questi 15.000 ed i tanti che si oppongono a rischio della propria libertà sono da mettere al bando ? Un popolo non è, non sarà mai , quello che si vede guardando le stanze di un potere violento e criminale. Un popolo è cuore e sentimento, cultura e storia. Lo è anche quello russo che dovremmo cercare di staccare dal suo aguzzino e non gettarlo nelle sue braccia per un ottuso, improvvido e infondato senso di superiorità.