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Quante volte capita di  avere gesti d’insofferenza verso la politica strillata e sguaiata, di mal sopportazione per i dibattiti nei quali si assiste invece che ad un confronto di idee ad una scontro di pregiudizi ? Eppure facciamocene una ragione: ormai  il consenso lo sposta la radicalità e non la mediazione,  l’urlo e non il ragionamento. Riflettiamo sugli ultimi dieci anni di politica italiana. Su proclami estremamente radicali di rovesciamento  di quanto esisteva a livello partitico e politico ha costruito le sue fortune il Movimento 5 Stelle; dal” vaffa” ai palazzi da aprire “come scatolette di tonno”. Su una coerenza estremamente aggressiva ha fondato la sua ascesa Giorgia Meloni. E se ora la vediamo intenta a trattare con gli altri leader europei, accontentandosi a volte anche solo di enunciazioni di principio,  non possiamo dimenticarci che era lei che in piazza gridava fino a pochi mesi fa all’indirizzo dei burocrati europei “che la pacchia era finita”. Lo stesso Matteo Salvini fonda le sue fortune sull’ostinata ripetizione del politicamente scorretto (a differenza della Meloni, però, è l’unico linguaggio che conosce).Per contro la politica della razionalità applicata al governo,  praticata dal Partito Democratico sotto la guida di Enrico Letta,  ha talmente sbiadito l’immagine di quel partito da consegnarlo ad una serie di batoste e ad una perdita di credibilità dalla quale forse si risolleverà con la guida di Elly Schlein, non a caso per niente aliena da prese di posizioni nette che richiamano all’identità smarrita. E dunque non c’è da stupirsi se poi anche la gente si affida alla radicalità per far sentire la propria voce. Così fanno i ragazzi che sciaguratamente mettono a rischio palazzi ed opere d’arte con la vernice, così fanno gli operai che si arrampicano sui tetti delle fabbriche svendute dalle multinazionali, così fanno in Francia i cittadini ( storicamente molto meno succubi che da noi)  stufi delle prepotenze del loro non più così giovane Monsieur Le President. La differenza tra l’approccio partitico alla radicalità e quello della gente che manifesta in un modo o nell’altro, è che mentre i primi danno la sensazione di cavalcare la tigre in maniera strumentale,  i secondi lo fanno per cercare di far sentire la loro voce ad una classe politica che non li ascolta più da tempo nella speranza che facendo cose eclatanti il rumore induca i paludati signori a porgere almeno l’orecchio. La quadratura del cerchio, il ritorno ad un confronto che sia propositivo e non distruttivo, reale e non solo di facciata, passa attraverso l’abbandono delle torri d’avorio, attraverso la riconquista del controllo della sfera economica da parte della politica, ora prona agli interessi finanziari . Passa attraverso la ripresa dell’ascolto e del contatto tra chi sceglie di fare politica ( che deve essere un servizio e non un privilegio) e chi vive la vita di ogni giorno. Continuando ad utilizzare toni sempre più aspri ma conservando  ed anzi accentuando l’idea di sé stessi come casta privilegiata e superiore i politicanti non potranno poi stupirsi della protesta delle piazze. Del resto già Locke stigmatizzativa  “l'esercizio del potere oltre il diritto, a cui nessuno può aver diritto. E ciò consiste nel far uso del potere che uno ha nelle mani non per il bene di quelli che vi sottostanno, ma per il suo distinto vantaggio privato” e quei  facinorosi degli statunitensi hanno apposto come incipit alla loro dichiarazione di indipendenza che “Quando il Governo viola i diritti del popolo, l'insurrezione è per il popolo e per ciascuna parte del popolo il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri”.