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Ormai è una gara a chi sbaglia più forte quella tra il ministro Salvini e la giudice Apostolico. Breve riassunto dei fatti.  Il magistrato della città etnea ha emesso una sentenza che nega validità ad un provvedimento governativo ( disposizioni contenute nel  cosiddetto “Decreto Cutro” ) mettendolo a confronto con i principi sanciti dalla Costituzione italiana nonché da quelli della Unione Europea. In punta di diritto è ineccepibile perché esiste una gerarchia delle fonti che, basta una semplice interrogazione in internet, stabilisce che “La fonte superiore prevale su quella inferiore e di conseguenza la fonte inferiore non può contraddire quelle superiori. In concreto questo significa che la fonte inferiore che abbia un contenuto contrario a quella superiore è da considerarsi invalida, perché affetta da un vizio e dovrà essere pertanto eliminata, abrogata dall'ordinamento o disapplicata.” Dal momento che la Costituzione è una fonte di primo livello e il decreto legge ( o comunque anche un provvedimento legislativo del governo) una fonte di secondo livello, la conseguente disapplicazione rientra in una perfetta logica giurisdizionale. L’esecutivo ha poi diritto di fare appello contro la decisione del giudice. Questo avverrebbe in un paese normale dove i rapporti tra le istituzioni fossero regolati dal rispetto reciproco e da quello della legislazione vigente. Fin qui dunque poco si potrebbe eccepire alla dottoressa Apostolico  se non sguaiate smargiassate sostenute dal solito coro di prefiche “embedded” a beneficio dell’appiattimento cerebrale.  La decisione della magistrato ha però scatenato anche un’altra analisi delle fonti,  ben lontane queste dai testi di diritto: la ricerca sui social. E dal pantano dal quale ormai nessuno è immune sono stati ripescati “like” a messaggi del compagno contro il ministro Salvini e, dulcis in fundo,  filmati ( ormai son più d’uno) che ritraggono la dottoressa tra i manifestanti che nel 2018 reclamavano ( non senza veemenza) che l’allora ministro dell’Interno in salsa leghista facesse attraccare la nave carica di migranti lasciata a sobbollire al largo di Catania. Con straordinaria ( e senz’altro allarmante  ) rapidità sono emerse prese di posizioni ed immagini che ritraggono la magistrato come fiere oppositrice se non dell’intero centro-destra sicuramente del “capitano” delle folle di Pontida. Il quale dal canto suo, infischiandosene altrettanto allegramente della sua “rivale” del ruolo istituzionale e del necessario equilibrio se non riserbo che tale ruolo dovrebbe ispirare, ha dato il via in proprio alla gogna mediatica nonché al facile sillogismo per cui date le idee politiche della giudice il provvedimento in questione non è stato assunto sulla base di analisi giuridiche ma solo per astio di parte. Ora, in un paese normale ( quale non siamo ormai da tempo) sarebbe forse opportuno un passo indietro da parte di entrambi. Questo non scioglierebbe quell’inquietante sensazione di essere dentro “1984” con quasi quarant’anni di ritardo, non eliminerebbe la fastidiosa idea di schedature di massa e nemmeno quel disagio derivante dal vedere chi domani potrebbe essere chiamato a giudicare della libertà di qualcuno prendere esplicitamente posizione infrangendo l’aurea regola della purezza “della moglie di Cesare” ( non solo essere ma anche apparire inattaccabili) ma ci restituirebbe un minimo di dignità, E’ quella infatti che si va perdendo giorno dopo giorno nei tornanti di una politica che parla e non ascolta, che promette e non mantiene, che si autogiustifica e non risolve. Allontanare la gente dalla vita pubblica è però gioco a favore degli illiberali che ritengono loro diritto gestire come cosa privata gli affari di Stato , per questo diventa indispensabile  non concedere regali.