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Ieri si compivano i dieci giorni dal giuramento del governo guidato dal "Signor Presidente del Consiglio onorevole Giorgia Meloni”. Poco per fare un primo bilancio; abbastanza per avere un’idea dell’impostazione generale che verrà data a questa legislatura. Gran parte del tempo è stato dedicato alla rituale spartizione delle poltrone, con la necessità di placare le ansiose brame dell’ottuagenario di Arcore e i pruriti di rivalsa del mancato DJ del Papeete, ma non sono mancate le indicazioni significative per il futuro e non sono, per il contesto generale dei diritti e delle libertà, incoraggianti. Come ampiamente previsto dai più accorti commentatori, nell’impossibilità di attuare le politiche economiche promesse durante la campagna elettorale,stoppate dal combinato disposto della crisi energetica e degli obblighi europei, l’esecutivo guidato dalla primadonna della Garbatella ha cominciato a dare segnali chiari in tema di liberismo fiscale ed economico oltre che di ordine pubblico. Così fin dal discorso di insediamento si è dichiarato che “il governo non vuole disturbare chi intende fare”, ovvero via libera ad un nuovo “Laissez-faire” ignorando le distorsioni e il significativo aumento delle diseguaglianze che l’applicazione di tale modello comporta. Portato naturale di tali affermazioni  la preannunciata instaurazione di una “pace fiscale” (fuori dalle acrobazie verbali leggasi condono) e l’innalzamento del tetto del contante. Il tutto per non smentire una consolidata abitudine di parte,  consistente nel concedere la grazia agli evasori confermando nel fatti che tutti coloro che fanno fronte al dovere di pagare le tasse sono dei coglioni. Ma il bello (o il brutto) viene sul fronte dell’ordine e dei diritti. Pronti, via e Piantedosi e Salvini (coppia di fatto ricostituita dopo “gli anni belli” della gestione del ministero dell’interno da parte del leader leghista) bloccano le navi delle ONG al largo delle coste siciliane ( "navi pirata" le chiama la Meloni ). Segue la gestione discutibile delle contestazioni all’interno dell’Università a Roma, (sebbene resti inaccettabile la pretesa di impedire a qualcuno di esprimere la propria opinione), poi il liberi tutti sul Covid con reintegro di chi ha disobbedito alle regole volute dal governo di allora ( giudicate “ideologiche”, le regole; invece l’atteggiamento dei no vax è stato, a contrario, evidentemente ritenuto razionale…). Da ultimo la improrogabile necessità ed urgenza di un decreto legge che vieti i “Rave Party” (manifestazioni per lo più scellerate e dannose soprattutto per chi vi partecipa) con l’antipatica sensazione che evidentemente c’è disobbedienza e disobbedienza e che a seconda del caso si ottiene l’indulto oppure si rischiano fino a 6 anni di carcere. Il frettoloso testo prontamente vergato dagli uffici ministeriali, infatti , è scritto in maniera tale che, a discrezione di un funzionario di pubblica sicurezza, qualunque raduno di più di 50 persone ovunque si tenga e per qualunque ragione, potrebbe incorrere negli strali della legge. E’ scritto male, lo correggeremo, si sono precipitati a dire gli esponenti di Forza Italia (che recitano il ruolo di moderati). Manco per idea hanno ribattuto i leghisti e parecchi corifei della Meloni, impegnati a tempo pieno nell’impervia scalata degli specchi a giustificazione di parole che in italiano significano solo quanto si è scritto sopra. La rivendicazione della stessa leader, che considera motivo di orgoglio il varo di tale provvedimento pone fine ad ogni residuo dubbio. Questa è la linea dell’esecutivo voluto fortemente dal voto del 26 settembre; ideologicamente caratterizzato senza indugi né timori. Legittimo ma preoccupante. Qualcuno dirà: ci penserà l’opposizione. Già; tra chi è già pronto a traghettare da Firenze sul carro del vincitore (o della vincitrice? chissà...) e chi continua a mostrare encefalogramma piatto viene naturale rispondere: l’oppo..che ?