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Sono giorni di alte e giustificate lamentazioni per l’ultima sortita della seconda carica dello Stato, il Presidente del Senato onorevole Ignazio Benito La Russa, che s’è infilato con agevole noncuranza all’amo lanciato dall’astuto Senaldi, condirettore del giornale Libero, riscrivendo a modo suo una delle pagine più terribili della storia recente del nostro paese: la bomba di via Rasella che facendo 33 vittime tra i militari nazisti che occupavano Roma scatenò la feroce rappresaglia che condusse alla strage delle Fosse Ardeatine. Cinicamente spavaldo è stato il giornalista che per primo lancia l’ipotesi di “atto inglorioso” per l’operazione partigiana porgendo al politico l’opportunità di un’uscita che è valsa al suo sito, sino a l’altro ieri sconosciuto ai più, tutte le aperture di telegiornali e radiogiornali e le prime pagine dei quotidiani. L’onorevole La Russa, da parte sua, non ha fatto che confermare ciò che già si sa, si è sempre saputo e che, gli va dato atto, lui non ha mai nemmeno cercato di nascondere, ovvero una resistente nostalgia per “quando c’era Lui, caro lei..” Ricordiamo performances come la proposta di far diventare il 25 Aprile il “giorno del ricordo delle vittime di tutte le guerre,  comprese quelle contro il coronavirus” ( intervento in Senato dell’ aprile 2020)  fino al suo “siamo tutti eredi del Duce” pronunciato in una trasmissione del settembre 2022 a “La 7” passando per le note vicende del busto del dittatore, eredità avita e qualche altra amenità su gender e gay..Insomma, tutto si può dire meno che non si conoscesse piuttosto bene la storia, le radici e anche l’istinto verbalmente provocatorio dell’uomo ( del resto è politico di lungo corso con anni e anni passati nelle dure trincee dell’opposizione) . Epperò tutte queste lamentazioni  sulla contraddizione tra ruolo e affermazioni omettono un particolare che non trovo insignificante. Quel tredici di Ottobre 2022 la candidatura di Ignazio Benito poteva tranquillamente naufragare, vittima certamente non della cautela istituzionale ( sia mai! ) quanto piuttosto  dell’incapricciamento dell’onusto cavaliere che  vedeva rispediti al mittente pressoché tutti i suoi “desiderata” dalla irriverente giovinetta che si era presa da poche ore Palazzo Chigi.  Ed allora ricordate cosa accadde ? Chi si prestò al “soccorso dal colore indefinito ” che permise al soddisfatto senatore dalla nota fede ner(azzurra) di assurgere allo scranno di Palazzo Madama ? Furono almeno 17 i senatori che decisero di prestare amorevole sostegno al candidato proposto da Giorgia Meloni. Ovviamente un minuto dopo partì la gara alla negazione che manco San Pietro la notte del supplizio di Gesù Cristo..Ora: sacrosanto esprimere condanna per una riscrittura della storia che, portata alle estreme logiche conseguenze, indica nei veri responsabili dell’orrore delle Fosse Ardeatine coloro che compirono un atto definito “inglorioso” e “inutile” ( fu, per altro , un’azione che scatenò un forte dibattito anche nelle file della Resistenza poiché era noto quale sarebbe stata la risposta dei nazi-fascisti ), ma se abbiamo un Presidente della Repubblica supplente ( ché anche questo è il ruolo del Presidente del Senato) che se n’esce con considerazioni di questo tipo è anche, in estrema conseguenza logica, responsabilità di chi gli ha dato i voti pur essendo formalmente all’opposizione. Una ulteriore conferma che in troppe teste là dentro si preferisce il mercanteggiamento alla politica, la furbata all’integrità, l’interesse all’ideale. E se le cose stanno così non siamo messi beni ( La Russa invece sì…).  

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L’uscita della premier Giorgia Meloni sulla strage delle Fosse Ardeatine, “vittime perché italiani”, è in linea con l’antica tradizione dell’MSI, targata Giorgio Almirante, il quale aveva l’abitudine di nascondere le responsabilità della sua cara sponda politica dietro la nozione patria e italianità.

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Quante volte capita di  avere gesti d’insofferenza verso la politica strillata e sguaiata, di mal sopportazione per i dibattiti nei quali si assiste invece che ad un confronto di idee ad una scontro di pregiudizi ? Eppure facciamocene una ragione: ormai  il consenso lo sposta la radicalità e non la mediazione,  l’urlo e non il ragionamento. Riflettiamo sugli ultimi dieci anni di politica italiana. Su proclami estremamente radicali di rovesciamento  di quanto esisteva a livello partitico e politico ha costruito le sue fortune il Movimento 5 Stelle; dal” vaffa” ai palazzi da aprire “come scatolette di tonno”. Su una coerenza estremamente aggressiva ha fondato la sua ascesa Giorgia Meloni. E se ora la vediamo intenta a trattare con gli altri leader europei, accontentandosi a volte anche solo di enunciazioni di principio,  non possiamo dimenticarci che era lei che in piazza gridava fino a pochi mesi fa all’indirizzo dei burocrati europei “che la pacchia era finita”. Lo stesso Matteo Salvini fonda le sue fortune sull’ostinata ripetizione del politicamente scorretto (a differenza della Meloni, però, è l’unico linguaggio che conosce).Per contro la politica della razionalità applicata al governo,  praticata dal Partito Democratico sotto la guida di Enrico Letta,  ha talmente sbiadito l’immagine di quel partito da consegnarlo ad una serie di batoste e ad una perdita di credibilità dalla quale forse si risolleverà con la guida di Elly Schlein, non a caso per niente aliena da prese di posizioni nette che richiamano all’identità smarrita. E dunque non c’è da stupirsi se poi anche la gente si affida alla radicalità per far sentire la propria voce. Così fanno i ragazzi che sciaguratamente mettono a rischio palazzi ed opere d’arte con la vernice, così fanno gli operai che si arrampicano sui tetti delle fabbriche svendute dalle multinazionali, così fanno in Francia i cittadini ( storicamente molto meno succubi che da noi)  stufi delle prepotenze del loro non più così giovane Monsieur Le President. La differenza tra l’approccio partitico alla radicalità e quello della gente che manifesta in un modo o nell’altro, è che mentre i primi danno la sensazione di cavalcare la tigre in maniera strumentale,  i secondi lo fanno per cercare di far sentire la loro voce ad una classe politica che non li ascolta più da tempo nella speranza che facendo cose eclatanti il rumore induca i paludati signori a porgere almeno l’orecchio. La quadratura del cerchio, il ritorno ad un confronto che sia propositivo e non distruttivo, reale e non solo di facciata, passa attraverso l’abbandono delle torri d’avorio, attraverso la riconquista del controllo della sfera economica da parte della politica, ora prona agli interessi finanziari . Passa attraverso la ripresa dell’ascolto e del contatto tra chi sceglie di fare politica ( che deve essere un servizio e non un privilegio) e chi vive la vita di ogni giorno. Continuando ad utilizzare toni sempre più aspri ma conservando  ed anzi accentuando l’idea di sé stessi come casta privilegiata e superiore i politicanti non potranno poi stupirsi della protesta delle piazze. Del resto già Locke stigmatizzativa  “l'esercizio del potere oltre il diritto, a cui nessuno può aver diritto. E ciò consiste nel far uso del potere che uno ha nelle mani non per il bene di quelli che vi sottostanno, ma per il suo distinto vantaggio privato” e quei  facinorosi degli statunitensi hanno apposto come incipit alla loro dichiarazione di indipendenza che “Quando il Governo viola i diritti del popolo, l'insurrezione è per il popolo e per ciascuna parte del popolo il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri”. 

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Gli esponenti di Ultima Generazione che hanno imbrattato Palazzo Vecchio a Firenze con vernice rossa, "vanno ascoltati".

Questo in estrema sintesi ha detto la segretaria del Partito democratico Elly Schlein in un'intervista a Stasera c'è Cattelan, programma condotto da Alessandro Cattelan. "Al di là del metodo scelto che posso non condividere, non dobbiamo fare l'errore di guardare troppo il dito e non la Luna. Stanno solo chiedendo di ascoltare la scienza", ha spiegato Schlein.

Una dichiarazione decisamente infelice da parte della neo segretaria del PD, in primo luogo perché chi imbratta opere d’arte, simboli della nostra storia come Palazzo Vecchio, commette un abominio. L’arte come la vita è sacra, è la massima espressione di bellezza, di sensibilità e di civiltà che una comunità è in grado di raffigurare e di tramandare ai posteri. Queste azioni sono delle sconcertanti manifestazioni di stupidità e nulla riesce a renderle giustificabili. C’è un passaggio fondamentale della nostra Costituzione, per l’esattezza l’articolo 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.  Una secchiata di vernice sopra la storia non è una manifestazione del proprio pensiero ma rappresenta il rivelarsi di un malessere profondo. Il rispetto per l’ambiente va sostenuto in altro modo, se imbratti Palazzo Vecchio puoi avere tutti gli argomenti di questo mondo ma io non sono disposto ad ascoltarti, solo a spedirti a parlare con uno psichiatra, null’altro. Tra l’altro la vernice con cui è stato imbrattato Palazzo Vecchio è molto pericolosa per le pietre storiche e porose dell’edificio, questo quanto riferito dalle Belle Arti di Firenze, tutto l'opposto di chi continua a sostenere che con un pò di acqua va tutto via.

Elly Schlein ha molte battaglie da combattere, alcune difficili, fondamentali diritti da difendere come quello dei figli di coppie LGBT, spero li voglia affrontare con le armi della parola e di ogni altra libera espressione democratica, perché giustificare chi imbratta l’arte non ha senso, ha già perso in partenza.  

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Quando Salvini ha chiesto alla Meloni se poteva fare il ponte, lei gli ha risposto immediatamente di sì, contenta di toglierselo di torno per tutto il fine settimana.

Era però il ponte dell’Immacolata, non quello sullo Stretto di Messina. L'idea di collegare la Calabria alla Sicilia risale ai tempi degli antichi romani, poi in verità un pensierino ce lo fece anche Carlo Magno. Ma fu nel 1840 che Ferdinando II di Borbone, il Re delle Due Sicilie, fece realizzare uno studio di fattibilità per la costruzione del ponte. Ma visti i costi troppo alti dell'opera rinunciò. Terminata la Seconda Guerra mondiale l'idea del ponte sullo Stretto iniziò ad affascinare la neonata Repubblica diventando una specie tormentone, come quelle vecchie canzoni che cadono temporaneamente nel dimenticatoio per venire improvvisamente rispolverate, un evergreen capace sempre di suscitare le giuste emozioni. Nel 1969 venne bandito un "Concorso internazionale di idee" per un progetto di attraversamento stradale e ferroviario dello Stretto. Furono presentati 143 progetti. Per gli studi preliminari furono stanziati 3,2 miliardi di vecchie lire, i soldi furono spesi ma il ponte restò lettera morta. Nel 1981 venne costituita la "società Stretto di Messina", che diventò responsabile per la progettazione dell'opera. Come risultato finale vennero triturati montagne di soldi tra amici e amici degli amici, del ponte neanche l'ombra. Matteo Salvini oggi annuncia gongolate che ci sarà un plastico e che sarà un progetto esplosivo; l’ufficio stampa di cosa nostra si è messo immediatamente in contatto con il ministro: “Ci pensiamo noi, in  fatto di esplosivi al plastico non siamo secondi a nessuno, Salvini ci faccia soltanto sapere dove va posizionato l’ordigno”. Il ministro degli interni Piantedosi appena ha saputo che per attraversare lo stretto non verranno più utilizzati i traghetti ha convocato una conferenza stampa invitando i siciliani a restare a casa loro: “non dovete partire…”. Si sono mobilitati anche i terrapiattisti: si riservano di vedere ultimato il ponte, se sarà dritto e non curvo sarà la riprova che la terra è piatta. Naturalmente contrari gli animalisti perché sui piloni in cemento andranno a sbattere la testa i pesci e questo in effetti è anche un pò offensivo per tutta la fauna marina, in particolare per triglie, spigole e branzini. Matteo Salvini comunque è già in spiaggia, non si muoverà di lì fino a quando non saranno partiti i lavori. A chi gli ha chiesto spiegazioni sulla situazione attuale ha risposto in maniera lapidaria e sintetica: “la situazione attualmente è questa, se non fosse questa sarebbe sicuramente in un altro modo…”. Alcuni medici della Usl lo stanno tenedo d’occhio a distanza, pronti ad intervenire in caso d’urgenza.

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Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sta inanellando un disastro dopo l’altro, sta diventando una figura imbarazzante al cospetto del palcoscenico italiano ed europeo, roba da far apparire Domenico Scilipoti come uno statista illuminato.

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Ricordate la scena del film di Pieraccioni nella quale lui si precipita alla stazione ripetendo “Non partire, Non Partire”? Ecco, a sentire le dichiarazioni del nostro governo, di molti esponenti di maggioranza, di alcuni rappresentanti del parlamento europeo pare che quella frase iconica de “Il ciclone” sia l’unica ispirazione che gli sovviene a fronte delle ripetute tragedie umanitarie legate ai mancati o ritardati soccorsi in mare, alla montante ondata di migrazioni che assale la vecchia Europa. Tutti sembrano ignorare quello che i commentatori più avvertiti, gli analisti di geopolitica e persino gli economisti affermano ormai da tempo: il fenomeno delle migrazioni non è una improvvisa calamità da affrontare, ma un fenomeno endemico ed inevitabile che contrassegnerà gli anni a venire e che va quindi gestito e non "cavalcato" a fini di consenso ( e questo vale per destra e sinistra). Farebbero sorridere se non fossero legate alla drammatica morte di innocenti le parole di chi sostiene che bisogna risolvere i problemi nei paesi d’origine,  come se fosse possibile interloquire sul tema dei diritti con il regime di Kabul o con gli Ayatollah, come se ci fosse davvero l’intenzione di destinare risorse alla soluzione dei problemi economici della popolazione degli stati africani. Per carità di patria non torno nemmeno su quelle di chi ha ritenuto (e probabilmente ritiene) irresponsabile fuggire dal proprio paese per evitare la fame, la violenza, le vessazioni, le limitazioni della libertà e la conculcazione dei diritti. Le persone continueranno a scappare da Afghanistan, Siria, Iran, paesi curdi per il semplice motivo che per molti là non c'è vita possibile ( e spesso non solo in senso figurato).  Si tratta di persone che rischiano di morire di fame o di tortura perché emarginate o vilipese (come i curdi usati alla bisogna poi ignorati da un occidente ignavo e bottegaio), arrestate, torturate, avvelenate come in Iran per il solo fatto di parlare o vestire in maniera difforme dalle imposizioni di regime, oppure cacciate dal lavoro e dalla scuola,
dallo sport e dalla dignità come accade soprattutto alle donne là dove la cialtroneria egoista degli americani ( con gli altri paesi occidentali proni al seguito) ha riconsegnato ai talebani il timone del governo. E si continuerà a scappare anche da tanti paesi dell’Africa, perché quando guardi gli occhi dei tuoi figli e non hai cibo da dare, quando vedi che niente può risolvere una situazione endemica di deprivazione e saccheggio, sai che non ti restano alternative. Morire per morire vale la pena provare a vivere.  Allora qualunque alternativa risulterà migliore rispetto alla certezza di un futuro che non c’è. E certo che su questa disperazione si innescano i vomitevoli appetiti dei profittatori, dei mercanti di schiavi del ventunesimo secolo che lucrano sul dolore, sulla disperazione e su quella quota residua di speranza che spinge tanti verso le coste del Mediterraneo. In questo contesto l’Italia rappresenta spesso solo lo scoglio da afferrare per poi issarsi verso altre zone d’Europa. Ma proprio quella che attualmente è solo un’insulsa congerie di burocrazie dovrebbe abbandonare l’egocentrismo nazionale e attivare canali di ingresso sicuri, verificabili, e non gestiti dai potentati locali (quante volte conniventi per ragioni di denaro con le élite finanziarie ?). Questo non significa liberi tutti ma aiuto a tutti coloro che ne hanno bisogno certamente sì. Organizzare una accoglienza degna di questo nome e poi magari anche controlli efficaci a presidio della sicurezza. Bisogna fare l’impossibile perché non si ripetano tragedie come quella di Cutro, quelle che l’hanno preceduta e quelle che seguiranno se nulla cambia o se, alimentando la narrazione dell’immigrato come pericolo, si finisce con l’irretire la generosa azione di chi opera per mare in una rete di cavilli. Infine, ricordo che quelle parole di Pieraccioni erano inutili ….chi cercava non era li, non era lì la soluzione, occorre cambiare linea, occorre aprire il cuore, la testa e abbattere i troppi muri costruiti dal denaro e dell'egoismo.