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Nel mondo protocapitalista tutto ha un prezzo. Si sapeva da tempo. Nessuno però aveva sino ad oggi istituito un prezzario della libertà come ha deciso il nostro governo con un emendamento al  “Decreto Cutro”  reso esecutivo in questi giorni dal Ministero dell’Interno. 4.983 euro per non essere rinchiusi in uno dei campi  di concentramento ( questo sono e saranno, i centri pensati per risolvere l’irrisolvibile, per sovraffollamento, condizioni igienico-sanitarie, limitazioni  e probabili violenze interraziali ) variamente denominati  da un esecutivo alle prese con una emergenza oggettiva gestita soggettivamente in maniera eufemisticamente maldestra. Ovviamente nessuno ha ora il coraggio di assumersi la paternità di una norma tanto ripugnante quanto iniqua, ma l’emendamento c’è e diventa  uno degli strumenti della sgangherata politica di controllo delle migrazioni epocali che miseria endemica, mutamenti climatici, dittatori famelici e guerre stanno indirizzando dall’Africa verso l’Europa. Quel che fa pensare è che oltre ad essere una disposizione eticamente discutibile , la “tariffa della libertà” pare seguire una linea che sottotraccia va contraddistinguendo le scelte dell’attuale maggioranza ( ed in parte anche di chi l’ha preceduta) : chi ha i soldi ottiene, chi non ce l’ha s’attacca. Vale per la sanità, la scuola, i servizi. Del resto lo Stato non ha risorse, prosciugate nei mille rivoli di un clientelismo e di un affarismo che non si riesce ad abbattere quale che sia il colore di chi siede sulle poltrone che contano.  Così si tagliano i fondi a bilancio per gli ospedali , si lascia che il personale infermieristico si riduca e quello medico scappi verso maggiori remunerazioni. Nessuno mette mano a edifici scolastici ormai datati o mal costruiti salvo dedicarsi alla periodica polemica incrociata sulle “classi pollaio”. Si propaganda la costruzione immaginifica del Ponte sullo Stretto con corredo di incontenibile spocchia ma si evita di finanziare sia il rinnovamento della  tragicomica rete ferroviaria siciliana che di sostenere quella nazionale,  costringendo i tantissimi lavoratori pendolari  a subire malfunzionamenti e ritardi giornalieri. Però chi può usa “Freccie Rosse” ed aerei, come cliniche private ed istituti di formazione gestiti da enti non statali. Dov’è il problema ? E’ il capitalismo bellezza ! La vicenda del “pizzo della libertà” ha però anche un altro aspetto inquietante. Facile immaginare che chi tra coloro che sbarcano a migliaia sulle nostre coste  potrà permettersi di andare in Banca o presso una Compagnia di Assicurazione a richiedere la garanzia fideiussoria sia con ogni probabilità qualcuno che tale denaro ce l’ha per attività illegittime ( spaccio, sfruttamento della prostituzione o peggio) . Come pure si apre la porta a mercanteggiamenti tra la malavita ed i poveri disgraziati che,  in cambio della mazzetta indispensabile per non finire reclusi, si presteranno volenti o nolenti a rinforzare la manovalanza dell’illegalità. E tutto questo non è solo asservimento alle logiche del profitto ( o vogliamo chiamarlo ricatto di uno Stato alla canna del gas?) ma soprattutto una grande vergogna nazionale.

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Un generale dei parà razzista e omofobo. Ma dai, chi l’avrebbe mai detto ? E’ singolare questa collettiva “caduta dal pero” davanti alle frasi contenute nel libro del generale Vannacci dal momento che è cosa nota e risaputa che in quel corpo speciale ( e nei “cugini” del Battaglione San Marco) certe idee circolano da sempre o, se volete, non hanno mai smesso di circolare dalla data della loro fondazione (1941). Chiunque viva in Toscana ha sentito narrare degli scontri degli anni ’70 e’ 80 tra i “rossi” livornesi ed i giovani paracadutisti in libera uscita con velleità nostalgiche sbandierate con l’incoscienza dei vent’anni tra le vie della città labronica. Basta conoscere ,direttamente o indirettamente, qualcuno che in quel Corpo abbia prestato servizio di leva per avere conferma che i valori riconosciuti come fondanti all’interno di quella struttura siano la forza, il superomismo, il rispetto ferreo della gerarchia ed il senso di superiorità su tutti gli altri. Non poteva certo esserne indenne uno che in quell’ambito ha guadagnato i galloni di Generale  e che davanti alle critiche che si sono scatenate in seguito alle sue affermazioni razziste, omofobe, antifemministe, ha ritenuto opportuno rispondere ( con riferimento al passaggio in cui dichiara che gli omosessuali non sono “normali”) che anche lui non è uno “normale” perché si considera uno “speciale”.  Insomma questo gran polverone agostano evidenzia ancora una volta la già più volte avvenuta scoperta dell’acqua calda.  Semmai v’è da chiedersi perché proprio ora ? Perché proprio in questi mesi si moltiplicano certe uscite da quella di La Russa su via Rasella  alle sempre imbarazzanti performances  di Galeazzo Bignami , dalla sparata di De Angelis a questa autoproduzione letteraria della quale le biblioteche potevano  fare a meno?  Idee e considerazioni che sono circolate e che circolavano da sempre in ambienti oggettivamente estremisti vengono gettate nell’agone del dibattito pubblico generando zuffe, prese di posizione varie ed assortite ma soprattutto facendo con costanza certosina passare un messaggio di rilettura, di dubbio, di possibile rivisitazione di certezze sociali e storiche ormai date per acquisite. E’ una domanda che la Presidente del Consiglio ed i suoi fidi non possono eludere se davvero, come parrebbe nelle uscite internazionali, si pensa di fare dell’attuale maggioranza la rappresentazione della parte moderata e conservatrice del paese e non la culla di revanscismi fuori di luogo e di decenza. Va da sé che sarebbe un passaggio decisivo per portare questo paese verso un confronto produttivo abbandonando la mania della verbosità d’assalto ( da un lato e dall’altro della barricata) che ha sempre due effetti; uno primario che è quello di ignorare la realtà e lasciare i problemi veri esattamente dove stanno, ed uno secondario che consiste nell’ aprire varchi agli intrallazzatori di professione adusi con inesauribile faccia tosta a calzare più scarpe nello stesso piede. Senza un forte distinguo, senza cercare sempre la soluzione sottobanco a tarallucci e vino ( come per De Angelis, ad esempio), non posso scacciare dalla mente le parole di un brano di Gaber, sinistramente  profetiche una volta di più “L'infezione è trasmessa da topi usciti dalle fogne/Ma hanno visto abilissime mani lanciarli dai tombini/Son le solite mani nascoste e potenti/Che lavorano sotto, che son sempre presenti….”

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Diciamocelo chiaramente: di unione quella europea ha soprattutto la definizione e un profluvio di burocrati e burocrazie che si estende tra Bruxelles e Strasburgo spesso soprapponendosi alle legislazioni nazionali in un’ancora irrisolta battaglia sulla gerarchia delle fonti. Una serie di orpelli che spesso finiscono con l’abbattersi sui cittadini sottoforma di complicazioni aggiuntive. Per il resto molta facciata e poca sostanza.  In politica internazionale gli stati più grandi continuano a far diplomazia e intrighi per conto loro all’interno di una posizione che appare eufemistico definire subordinata rispetto agli Stati Uniti ; spesso si assiste al ricorso e alla proposizione di normative particolaristiche a tutela di questo o quell’aspetto , di questo o quel prodotto nazionale; ridicola la sperequazione fiscale che vede nella stessa sedicente Unione paesi che sono rifugio di furbetti ed evasori ( si dice “a fiscalità agevolata”, sennò si offendono) e paesi con pressione fiscale a tratti ossessiva.  A tutto questo si aggiunge la vergognosa inettitudine davanti al grande problema delle migrazioni . Sono ormai decine di migliaia i disperati mettono in gioco la propria vita ( che a casa loro non è più tale ) affrontando marce estenuanti e traversate pericolosissime su gommoni sovraccarichi e ciabatte fatiscenti. Gli stati rivieraschi ( Italia su tutti) sono stati lasciati da soli a gestire il problema mentre il resto del continente faceva spallucce. Poi si è pensato di risolvere con il sistema con il vil denaro: ti pago e tu gestisci l’emergenza.  L’evoluzione successiva è stata però aberrante nel suo cinismo. Pagare  i paesi di transito e partenza e che provvedessero loro come più gli pareva a patto di tenerci lontani gli “sgraditi”. Il primo “esperimento” venne fatto con il sultano di Istanbul, quell’Erdogan spietato massacratore di curdi e oppressore di libertà civili fondamentali. Dal 2002 al 2021 alla Turchia sono stati pagati qualcosa di più di 16 miliardi di euro perché si prendessero in carico il blocco delle ondate di profughi e migranti. Il regime di Ankara lo fa gestendo sorte di campi di concentramento dove diritti e dignità stanno a livello zero, ma noi non lo vediamo e quindi va bene così . Bis con la Libia ( iniziativa qui tutta italiana). Fu il ministro  Minniti   a cercare l’accordo con i capi tribù che si sono spartiti il paese dopo la caduta di Gheddafi. Al 2022 l’Italia ha conferito ai signori della Tripolitania e dintorni circa 1 miliardo di euro perché si facesse in Libia come in Turchia. Di una settimana fa l’accordo dell’Unione Europea, rappresentata al massimo livello dalla Presidente della Commissione, con la Tunisia di Saied, presidente seguace della dottrina Kalergi, protagonista di un progressiva deriva antidemocratica e razzista nel proprio paese. Promessi 150 milioni per la crisi economica e 105 milioni per quella migratoria, altri denari verranno purché ci tengano lontani i migranti.  Un fiume di denaro che è servito a costruire un muro per la nostra morale vigliacca. Perché ancora una volta si è taciuto sui diritti e sulla dignità.  Così sciagurati che fuggono dalle violenze in Sudan o dalla fame si troveranno la porta sbarrata alle soglie del Sahara e lì verranno abbandonati e magari anche picchiati e violentati. Con buona pace delle affermazioni solenni e dei principi ribaditi dall’articolo 3 della dichiarazione dei diritti dell’UE che testualmente “proibisce la tortura e il trattamento o pena disumano o degradante. Ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica.”…epperò vuoi mettere se   qualcuno ci toglie l’angoscia dei  “naufragi e di altre rivoluzioni” lasciando noi e la nostra desolante classe politica  a sguazzare nell’ inconcludente edonismo,   coltivando i nostri “egoismi vestiti da sofismi e i piccoli rancori irrazionali” che misurano un mondo con sempre meno prospettive.

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La notizia è passata tra le tante, una breve di cronaca e non molto di più. Eppure non è che un episodio che si ripete e che rischia di ripetersi ancora in una spirale al ribasso che segna tristemente questi anni. I fatti: nei giorni scorsi i dipendenti della società “Mondo Convenienza”, azienda di produzione di arredamento che vende prevalentemente on-line,   sono scesi in sciopero lamentando orari pesantissimi ( anche 15 ore al giorno) , condizioni di lavoro inadeguate, diritti non riconosciuti e  stipendi troppo bassi (6 euro l’ora). Nelle stesse giornate altri dipendenti del gruppo hanno invece manifestato per tornare al lavoro, per  riprendere le consegne e non danneggiare l’immagine e il lavoro dell’azienda. Ecco quello che accade quando con protervia e lucida determinazione si persegue l’abbattimento dei  diritti e si lascia spazio solo a logiche di profitto: la guerra  dei poveri. E che in questa guerra intervenga la Polizia a far sbaraccare a calci i presidi degli scioperanti davanti al magazzino di Settimo Torinese come accaduto due giorni fa, con l'Azienda che mentre si dice pronta a trattare fa partire lettere di licenziamento, non fa che confermare la linea inclinata sulla quale ci stiamo avventurando. Le ricette neoliberiste si insinuano senza parere nei dibattiti e contribuiscono alle decisioni che sempre più rafforzano la formula del “Laissez-faire” rivisitata in forma finanziarizzate o sedicenti “patriottiche”. Non servono a smontarle nemmeno gli impietosi report dei vari Istituti di ricerca che sanciscono la perdita di potere d’acquisto e di valore nominale dei salari. La colpa sta sempre da un’altra parte e non nella dissoluzione progressiva del patto sociale che solo può assicurare benessere e dignità sia all’impresa che al lavoratore.  Sarebbe facile oggi additare la responsabilità di questa involuzione ad un esecutivo che definire conservatore significa forzare eufemisticamente i termini. Certo, non è da queste forze politiche avvezze a  corteggiare gli evasori fiscali e le “lobbies” che si possono aspettare inversioni di tendenza, ma bisogna anche riconoscere che da tempo anche a sinistra ( o laddove si utilizzava questa identificazione)  si era ceduto al fascino indiscreto della finanza e della ricchezza. L’abbandono della dialettica marxiana, della grande utopia della fine del capitalismo  non è passato attraverso una elaborazione della realtà che del capitalismo riconoscesse i meriti mantenendo alta l’attenzione sui rischi e le degenerazioni. Soprattutto da quando sul vecchio capitalismo industriale si è innestata la mala pianta di quello finanziario, capace di moltiplicare per cento successi  e disfatte, spesso passando dall’una all’altra in un breve volgere di tempo. No, ci si è soltanto arresi. In qualche caso addirittura consegnati, mani e piedi legati ad illusorie palingenesi parolaie che hanno condotto all’istituzionalizzazione del precariato ( Il “Job act” rimarrà nella storia a firma PD come una macchia indelebile sulla storia del partito). In tutta Europa i riferimenti si vanno facendo labili e la notte pare non possa avere un’alba diversa da quella del ritorno a forme contrattuali e di sfruttamento che credevamo di esserci lasciati per sempre alle spalle. Uscirne non sarà facile. Ci vorrà un lavoro lento e continuo di smontaggio quotidiano di  una narrazione falsa, di miti alimentati a solo vantaggio di chi già parte dieci metri avanti nella vita,  avendo l’obiettivo ( questo davvero riformista nei fatti e non nelle parole), di cercare offrire a tutti identiche opportunità di partenza. Sarà lunga e dura, bisognerà crederci ma soprattutto bisognerà cambiare.    

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Gli fa un baffo Pirandello…Dopo la eufemisticamente discutibile performace al Maxxi di Roma, l’ineffabile Vittorio Sgarbi ha spiegato “urbi et orbi” che sul palco del teatro della capitale non c’era il sottosegretario alla cultura (con il quale, anzi, si scusa), ma l’amico di Morgan; ed è stato lui, l’amico del poliedrico musicista che certo non ama il politicamente corretto a proferire quelle che molti hanno etichettato come indegne nefandezze. Così è se vi pare. A parte la sostanza delle parole pronunciate (almeno sconvenienti si potrà dire ?), dobbiamo essere grati al critico d’arte perché ci ha finalmente spiegato come funziona alle latitudini del governo che “cambierà l’Italia” (in meglio o peggio?). Chi sono i componenti dell’esecutivo? Uno, nessuno e centomila….ovvero: a strillare in maniera scomposta davanti al parlamentare di PiùEuropa e il giorno dopo in Parlamento non c’era “il” ( la? Boh?) Presidente del Consiglio ma “il” (la?boh?) leader di Fratelli d’Italia, quel partito con tratti un pò nostalgici che nei lunghi mesi del Covid gridava contro il Green Pass voluto dal generale Figliuolo; si, lo stesso cher ora fa il commissario in Romagna, ma che c’entra, quello lo ha nominato “il ” ( la? Boh?) presidente, mica il partito;  quel partito che con Conte e Draghi presidenti criticava il PNRR, quello che da sempre ha posizioni molto chiuse in tema di diritti civili e che in campagna elettorale gridava all’Europa che “era finita la pacchia”…c’era dunque la capo-popolo perché “il” (la?boh?) capo del governo era altrove (Liolà), Stava preparandosi per gli incontri istituzionali a Bruxelles, studiava i dossier e l’incedere calmo e distaccato dello statista di lungo corso. Adesso davvero è tutto più chiaro. Per dire: le sortite sulla razza, la sostituzione etnica e via sragionando non le declama il cognato d’Italia, ministro Lollobrigida, ma l’attivista del partito prima citato che conta nel proprio sito riferimenti al cosiddetto “Piano Kalergi”. Lo stesso vale per le dichiarazioni di Roccella, Valditara, Piantedosi….non sono i ministri, ma i loro alter-ego rimasti impigliati in una ideologia un pò greve..E noi che eravamo rimasti alle abilità dialettiche del “caro estinto” che riusciva a smentire persino le barzellette….L’evoluzione mi pare evidente. L’unico a non averci capito ancora niente è Matteo Salvini che non sa capire se parla con “il” (la?boh?) Presidente del Consiglio o con la Giorgia della Garbatella..Nel dubbio s’affanna con i social postando tutto e il suo contrario, ma resta un dilettante, sì, insomma un personaggio in cerca d’autore.

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“Sapesse contessa /Che cosa mi ha detto/Un caro parente dell'occupazione/Che quella gentaglia rinchiusa là dentro/Di libero amore facea professione/Del resto mia cara, di che si stupisce/Anche l'operaio vuole il figlio dottore/E pensi che ambiente ne può venir fuori/Non c'è più morale, contessa”. No, non è una delle ultime esternazioni della ministro Roccella o di qualche altro esponente governativo. Non è nemmeno l’ultima sortita di uno dei “maitre à penser” dell’attuale maggioranza come Flavio Briatore, sebbene le sue dichiarazioni alla trasmissione televisiva “Cartabianca” non vadano tanto lontano,  nella forma e nella sostanza, da quanto scritto sopra. Quelli citati sono invece i versi di (una volta) famosa canzone di protesta composta da Paolo Pietrangeli nel 1966. Ciò che stupisce è che leggendoli non sorprenderebbe di trovare le stesse affermazioni ( nell’originale ovviamente vergate in senso ironico)  nella cronaca quotidiana di una qualunque delle nostre settimane. La progressione dell’assalto ai diritti civili ed il consolidamento del privilegio del denaro paiono irresistibili. Già picconati da spacciatori di finto progressismo,  i diritti del lavoro vengono scambiati con agevolazioni al profitto, meglio se esentasse (“Che roba contessa all'industria di Aldo/Han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti/Volevano avere i salari aumentati/dicevano pensi, di essere sfruttati/.Ancora Pietrangeli ndr) . I diritti delle donne menomati da un neo-oscurantismo crescente.  Il riconoscimento, che si credeva acquisito, della libertà di amare secondo inclinazione più che di procreare messo in questione da rivendicati martellamenti neo-natali ( figli alla Patria? ). Attendiamo a breve il ripristino della retorica dell’”angelo del focolare” e siamo a posto. Nella più diffusa indifferenza, coltivata accuratamente con anni di benaltrismo ( da sinistra) e di edonismo ( da destra) ci stiamo rimangiando mezzo secolo di faticose conquiste. Quasi in contemporanea il Senato nega il processo per Salvini che avrebbe ( la decisione di merito sarebbe spettata al magistrato, quindi nessun pre-giudizio )  diffamato Carola Rackete nella famosa vicenda della “Sea-Watch” del 2019. E’ consentito invece al medesimo ministro querelare Roberto Saviano per identico ipotetico reato. Quella di difendersi non nei processi ma dai processi è storia già vista, ideata dall’ideologo principe di questa decadenza morale che ci trascina sempre più a fondo, ma il moltiplicarsi di questi episodi non fa che istituzionalizzare di nuovo, dopo vani tentativi di rimonta verso l’equità, la famosa frase di Gioacchino Belli, ripresa da Onofrio, Marchese del Grillo, volutamente  ignorato dalle guardie che invece arrestavano i popolani con i quali era rimasto coinvolto in una rissa   “ Io so’ io e voi nun siete un cazzo! “ 

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Brama smaniosa e irragionevole: la frenesia. La corsa a cercare a tutti i costi il commento, il titolo, la frase ad effetto. In parte è anch’essa un’eredità della mutazione sociale indotta dal “caro estinto”, in parte è il portato di un’epoca dove sempre di più si va a cercare di mangiare l’uovo laddove non si dovrebbe..ed ecco allora che tra sabato e lunedi si è potuto assistere all’utilizzo deformato dell’informazione. Tre casi piuttosto eclatanti di frenesia applicata alla notizia ( uno dei quali include “tafazzismo” congenito).  Dunque: sabato pomeriggio il M5S è in manifestazione a Roma. Si presenta anche Beppe Grillo che apostrofa i presenti dicendo (testualmente): “Fate le brigate di cittadinanza, mettete il passamontagna e di nascosto andate a fare i lavoretti, mettete a posto marciapiedi, aiuole, tombini. Fate il lavoro e scappate. Reagite !”. Come si evince senza difficoltà si tratta di una battuta. Magari con l’utilizzo non felice dei termini brigata e passamontagna che messi insieme evocano momenti terribili della storia nazionale, ma senza dubbio una battuta. Diffusa in maniera parziale, con l’ansia dello scoop e la deontologia sotto le scarpe, questa affermazione ha scatenato il finimondo con accuse pesantissime di voler riesumare nostalgicamente le Brigate Rosse, di istigazione alla violenza e così via. In prima linea ovviamente i politici dal “dito caldo”, da Renzi a Salvini, da Susanna Ceccardi  ai fedelissimi di FDI. Caso due: lunedì 19 giugno il ministro della Giustizia Nordio così si esprime nel corso di un convegno. “La nostra legislazione tributaria è piena di ossimori – ha detto Nordio – se un imprenditore onesto decidesse di assoldare un esercito di commercialisti per pagare fino all’ultimo centesimo di imposte, non ci riuscirebbe perché comunque qualche violazione verrebbe trovata, le norme si contraddicono». Ora: il ministro in questi mesi si è più volte lasciato andare a frasi poco commendevoli, ma stavolta non ha fatto altro che affermare una verità lapalissiana. Non v’è chi non possa riconoscere che il contribuente italiano è avviluppato da una Jungla tributaria non meno fitta di quella amazzonica ( anzi) , tanto che non manca chi abbia persino teorizzato che il sistema così fatto prevede l’evasione fiscale per l’impossibilità di adempiere integralmente alle follie burocratiche che si sono tempo per tempo sovrapposte. Anche in questo caso, ma a parti invertite, titoloni e dichiarazioni sul ministro che giustifica e difende chi non paga le tasse. Cosa che Nordio non ha mai detto, o almeno non in questa occasione. La cosa che mi pare più rilevante è che una volta esibito il tenore letterale delle dichiarazioni nessuno ha detto “ ah, va bene. Mi sono sbagliato.”. Non dico chiedere scusa, ma almeno ammettere l’errore…Terzo e ultimo episodio. La segretaria PD va a salutare Giuseppe Conte alla già citata manifestazione di sabato. Saluta, scambia due parole e se ne va. Passano poche ore e si scatena l’attacco sul suo presento avallo alle parole di Grillo ( abbiamo già visto come deformate) e di Moni Ovadia. Pronunciate quando lei nemmeno c’era. Il nesso si fatica a trovarlo anche a voler strumentalizzare per forza. La cosa più singolare è che tra i primi a sferrare l’attacco oltre ai già citati protagonisti del “Tweet a tutti i costi” c’erano tanti esponenti dello stesso partito di Elly Schlein. E qui alla deformazione della notizia si aggiunge l’autolesionismo storico del PD. Le ragioni che hanno portato la giovane leader in piazza le ha spiegate lei stessa molto bene: se vogliamo cambiare le cose dobbiamo fare fronte comune perché da soli non si va da nessuna parte ( e non ci sono i numeri);  dove può cercare sponda questo partito che sta cercando di scrollarsi di dosso i gravami del poltronismo  se non guardano ( con le dovute cautele) verso il M5S ? O forse qualcuno ancora vagheggia il ritorno tra le braccia dell’uomo che dietro le quinte spalleggia il governo Meloni fin dal giorno dell’elezione di La Russa? Qui il discorso si farebbe lungo…Alla fine se questo paese vuol veramente diventare adulto dovrebbe anche cercare di abbandonare il sensazionalismo. A livello giornalistico sarebbe utile tornare a separare i fatti dalle opinioni descrivendo i primi per come sono e riservandos poi di giudicarli com’è legittimo che sia, ma senza fare in modo che i fatti finiscano con il riflettere più che quello che accade le opinioni di chi li presenta. Un vecchio proverbio pellerossa ammoniva “Ascolta, altrimenti la tua lingua ti renderà cieco”.