Colors: Orange Color

Bercia nei social con noi!

“De toutes les matières c'est la ouate qu'elle préfère…” ebbene sì, pare che il castello di fuffa montato dai Ferragnez stia progressivamente ma inesorabilmente franando sotto i colpi dell’inchiesta di Selvaggia Lucarelli e della magistratura che va indagando su certa pubblicità ingannevolmente benefica griffata dalla giovane  milanese resa milionaria dal rincoglionimento globale che porta qualcuno ad acquistare merce al triplo del suo prezzo solo perché presente la sua benedizione.  La frana è iniziata con il calo dei consensi  sui vari social occupati dalle perdibili avventure della famiglia ma è soprattutto proseguita con la prima disdetta del contratto di sponsorizzazione da parte della Safilo, multinazionale dell’occhialeria. Adesso  parecchi marchi stanno pensando se proseguire o interrompere il rapporto con la “influencer influenzata” da un calo di immagine che potrebbe essere irrecuperabile. Lla vicenda potrebbe essere ricondotta ad una delle tante crisi industriali ( alla fine quella della Ferragni è da tempo un’azienda). Questa un po’ più particolare perché legata ad un tipo di business che  niente ha a che vedere con quello tradizionale. Il punto semmai è che Chiara Ferragni e il di lei consorte,  all’apice dei loro splendori ,  mentre inondavano  il mondo di immagini di lusso sfrenato,  mentre celebravano  l’acquisto di un appartamento con superficie pari ad un condominio si sono anche più volte dedicati a pistolotti vari sulla moralità di questo e quello, a giudizi e prese di posizione che stridevano totalmente con il loro quotidiano e puntualmente messi all’indice dall’implacabile Roberto D’Agostino. Un progressismo di facciata cavalcato troppo spesso da una politica di sinistra che dimostra anche in questo la drammatica e assoluta carenza di idee…discoros che ci porterebbe lontano..Ma torniamo alla “nostra”…ma dico, se non solo sei immersa fino al collo nel consumismo edonistico, se ti pasci dell’assurdo seguito di milioni di persone annichilite dal martellamento costante degli slogan pubblicitari e non solo, se proprio a questo  e solo a questo devi le tue fortune  (largamente  dimenticabile ogni altra performances tentata) sarebbe stato prudente limitarsi a mostrare chiappe e cosce mantenendosi su quella dorata superficialità che ha alimentato una fantastica pioggia di denaro. Sarebbe stato prudente rendersi conto che la materia prima del suo commercio,  delicatissima ed aleatoria, era la credibilità. Su questo aspetto andava posta la massima attenzione vigilando affinché l’ingordigia ed il supposto sentirsi al di sopra dei comuni mortali non provocasse scivoloni come quello ora al “disonor” delle cronache, uno scivolone che ha sporcato inesorabilmente la candida credenza dell’infallibile tocco magico della bionda eterea, da giorni (pare) chiusa nel suo dolore e forse nella offensiva camera armadio  di oltre 100 metri quadri ( sì, offensiva, una dimostrazione plastica dell’indecenza della ricchezza…falla ma almeno taci..) Ungaretti, che sapeva dell’incertezza della vita e ne faceva poesia (e non fuffa ) avrebbe siglato a suo modo questa brutta storia di finte solidarietà  “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie…Ed è subito sera” .  

Bercia nei social con noi!

Quel grido che ha lacerato l’aplomb del massimo teatro lirico nazionale nell’occasione-evento dell’anno e le reazioni ed anche le  “non reazioni” che ne sono seguite segnano definitivamente una differenza. Per anni è stato indicata come una sorta di snobismo il fatto di prendere le distanze da certe volgari approssimazioni,  un elitarismo radical-chic considerare la nostra Costituzione un perno attorno al quale far girare la nostra democrazia . Forse lo è anche stato quando ha significato rinchiudersi in certe torri d’avorio e rinunciare ad ascoltare, a parlare,  a contraddire. Ora non più. E’ bene  affermarlo con orgogliosa fierezza: c’è differenza. Si, c’è differenza tra chi considera l’antifascismo un valore costitutivo della nostra Repubblica e chi ne imita i modi, ne ricalca i contenuti o rifiuta semplicemente di pronunciare la condanna di quel regime e di quell’ideologia ricorrendo ogni volta a funambolici giri di parole per non perdere il consenso. C’è differenza tra chi crede in uno Stato di diritto dove il colpevole di un reato sia punito secondo la giurisprudenza e chi pensa sia giusto sdoganare il Far West della pistola libera. C’è differenza tra chi considera il lavoro non solo uno mezzo di sussistenza ma anche uno strumento di dignità umana e perciò ne pretende il rispetto del diritto e l’equo compenso e chi invece solletica a fini elettorali l’evasione fiscale e/o idealizza il profitto come metro del successo personale. C’è differenza tra chi, magari imprecando, sopporta i disagi degli scioperi perché sono un mezzo per far venire a galla i problemi, le iniquità, i disservizi e chi invece fa il “ganassa” imponendo limitazioni ad un diritto senza  accorgersi dello stato quotidianamente disastroso delle infrastrutture nazionali. E c’è differenza anche tra chi, uomo, si sente coinvolto nelle troppe violenze contro le donne,  anche se lui non alzerebbe mai un dito ma sa ammettere l’abisso culturale nel quale siamo stati ricacciati ( o dal quale non siamo mai usciti)  e tutti quelli ( e sì, anche donne..) che in queste settimane segnate dall’evento-simbolo dell’assassinio di Giulia Cecchettin si sono esercitati in distinguo tra il colto ed il volgare.  E c’è differenza anche tra chi va in Chiesa ed ascolta il Vangelo e sa che parla di perdono, di accoglienza dello straniero, di sostegno ai deboli da parte dei forti,  di amore disinteressato e di rispetto e chi invece prima sventola rosari e Crocifissi poi espone idee razziste, discriminatorie, esaltatrici di un egoismo a tutto tondo. C’è differenza tra chi vorrebbe un mondo senza frontiere, contraddistinto dal comune sentimento dell’unicità dell’essere umano e chi invece vorrebbe seminare fili spinati.  Certamente molti, anche tra coloro che coerentemente e legittimamente  coltivano un’idea più conservatrice della società, rientrano tra quelli che apprezzano queste differenze. A loro e a noi, insieme,  il compito di emarginare gli estremismi che ci ricacciano indietro di cento anni . Serve una reazione comune come fu all’epoca del terrorismo rosso e nero a tutela delle nostre istituzioni vilipese da personaggi indegni. W l’Italia antifascista

Bercia nei social con noi!

Magari Giulia fosse l’ultima. Magari si avverasse quanto  ha scritto Cristina Torres-Càceres  dopo  il femminicidio di una ragazza di 19 anni in Messico  (  un testo tante volte citato in questa settimana che vale la pena leggere per intero). Magari  la grande mobilitazione di questi giorni segnasse davvero un cambio di passo, una presa di coscienza, una svolta culturale. Certamente la vicenda della studentessa di Vigonovo ho smosso qualcosa, anche per il coraggio e la fermezza del padre e della sorella che seppur travolti dal dolore hanno saputo e voluto indicare le colpe, le omissioni, i troppi silenzi e le troppe parole che frequentemente accompagnano gli episodi di violenza fino all’oblio. Magari, dicevo, e lo dico perché invece già nei giorni immediatamente successivi si è udito lo stridore di commenti assurdi, il proliferare progressivo di distinguo grossolani o in punta di  retorica, ma tutti indirizzati a ricondurre l’episodio entro i parametri della follia omicida, del caso “particulare” , del ragazzo di cui non si era saputa cogliere la “stranezza”.   Tutto fa gioco presso certe latitudini ideologiche ( ma non solo) per non mettere sotto accusa il regresso culturale che ha investito la nostra società negli ultimi trenta anni, ovvero da quando si è andata affermando la centralità dell’edonismo,  il denaro come metro del successo personale, la dottrina  dei diritti assoluti scollegata da quella dei doveri. Negli anni 70-80 sebbene permanessero aree geografiche e mentali  nelle quali la parità tra i generi era ancora messa in dubbio, il fenomeno del femminicidio (L’ISTAT lo definisce il tipo di omicidio di donne, con la caratteristica della maturazione in ambito familiare o all'interno di relazioni sentimentali poco stabili)  non rivestiva le caratteristiche numeriche impressionanti degli ultimi 15 anni ( tanto da essere divenuto un elemento di osservazione stabile all’interno delle rilevazioni statistiche annuali). Nessuno si sarebbe sognato di pronunciare parole come quelle dell’ex “first-man” sui rischi di “incontrare il Lupo ” per le ragazze invertendo sostanzialmente l’onere della responsabilità. La cultura imposta da una ideologia deoideologizzata che pretende di svuotare di contenuto qualunque argomento riempiendolo esclusivamente di materia, di illusioni e di pretese ha finito con il trasformarci in un esercito di egoisti che disconoscono il valore della solidarietà quando non serve per finire in televisione o sui giornali. Siamo circondati da persone che sanno gridare solo “voglio” e che hanno abbandonato la coltivazione del dubbio e della sconfitta, per tacere dell’ignoranza pressoché totale di quel “tarlo mai sincero che chiamano pensiero”(cit. Guccini). Gli uomini poi, quelli sono vincenti solo se sono forti, belli, ed hanno donne “a disposizione”secondo modelli arcoriani mai archiviati.  E’ questo che ci hanno fatto diventare, è qui che trovano consenso certi imbonitori da mercato rionale assurti a livelli di potere un tempo inimmaginabili per tanta pochezza intellettuale, è qui che matura anche l’incapacità di accettare la libertà altrui e le scelte diverse soprattutto se vanno ad incidere su false certezze costruite su slogan di forza e dominio. Purtroppo certi argomenti tornano giorno dopo giorno, anche nelle politiche di chi vuol convincerci che una donna vale se dà figli allo Stato ( ..dove l’ho già sentita ?) mentre una donna vale. E basta. Ed in molti casi più di noi uomini.

Bercia nei social con noi!

“Ancora tuona il cannone, ancora non è contento di sangue la belva umana e ancora ci porta il vento e ancora ci porta il vento...”. Così scriveva Guccini a metà degli anni ’60 e sebbene sia trascorso oltre mezzo secolo di utopie e di speranze la cronaca quotidiana ci narra di una crescente deriva di violenze e di ottusità, di odio e di vendette che ci fanno sprofondare verso un nuovo medio-evo fatto di assolutismo e di prepotenze, di prevaricazione e di rifiuto del confronto. Dopo le zuffe russo-ucraine adesso l’onore, meglio dire l’orrore, della ribalta spetta all’ennesima guerra israelo-palestinese. E’ un conflitto dalle radici antiche e mai curate, un contrasto che il grande scrittore israeliano Amos Oz definiva  “la tragedia di un diritto contro l’altro e spesso purtroppo di un torto contro l’altro”.  Da una parte la manipolazione  degli estremisti islamici che usano la frustrazione e la rabbia di un popolo per scopi geopolitici salvo poi abbandonarli alla reazione dell’esercito ebraico, cento volte più armato e potente ( anche in questi giorni la “solidarietà” dei “fratelli musulmani” assomiglia tanto all’  “armiamoci  e partite” ); dall’altro uno Stato che sin dalla sua fondazione vede messa in discussione la sua stessa ragione d’esistere e non solo in senso giuridico ma proprio in senso fisico. Dentro questo schema ci stanno violenze continue, sopraffazioni ingiustificate da una parte e dall’altra, muri della vergogna e diritti negati.  La politica del governo Netanyahu, sempre più spostato dalla parte dei fanatici di destra, ha certamente aumentato malessere e voglia di reazione nei palestinesi sottoposti ad uno stato di polizia permanente, ma questo non giustifica in nessun modo le orribili violenze di Hamas del  7 ottobre. A sua volta gli assassini fanatici che hanno seminato morte e orrore ai confini tra Gaza e Israele non giustificano la messa a ferro e fuoco di un intero territorio abitato da oltre due milioni di persone, l’abbattimento di scuole e ospedali, la negazione in linea di principio della vita stessa. Lo scenario di sangue e morte che quotidianamente ci accompagna però  ha anche un’altra conseguenza molto pericolosa. Invece di interrogarsi sulle ragioni del conflitto e di avviare  una forte azione diplomatica comune che conduca verso una soluzione ( l’unica possibile la creazione di due stati liberi e autonomi ognuno nel proprio spazio e non come adesso è per i palestinesi una prigione a cielo aperto circondata giorno e notte dall’esercito e dalla polizia israeliana)  si preferisce impugnare una o l’altra bandiera estremizzando ulteriormente gli schieramenti. E’ così che appaiono nelle manifestazioni contro i bombardamenti a Gaza vergognosi striscioni inneggianti ( lo scrivo ancora perché pare davvero impossibile: inneggianti ! ) alla Shoah, slogan che ripropongono i temi dei pogrom contro gli ebrei  cancellando d’un tratto uno sdegno e una  vergogna che parevano ormai saldamente radicate nella coscienza comune. Non è solo un problema di rimozione della memoria collettiva, è anche un alimento costante  per le nuove destre sempre più violente, sempre più razziste, sempre più autoritarie che si riaffacciano sulla scena politica, da AFD ad Orban, dai nazionalisti polacchi gli spagnoli di Vox.  Tutti costoro vivono e proliferano nell’alimentare l’odio verso lo straniero, il diverso;  la comunità, il dialogo, la fratellanza , la dialettica tra diversi come argine a nuove tragedie sono i loro nemici.  Le ombre della storia tornano a coprire il cielo degli uomini, Voltarsi dall’altra parte diventa complicità.      

Bercia nei social con noi!

E’ il tempo del gessetto e della lavagna, la rivincita dei capoclasse. Ormai chiunque si sente in diritto, ma direi ancor di più in dovere di tracciare una linea, come si faceva una volta nelle scuole  e classificare persone, cose, eventi secondo una dicotomia implacabile: da una parte i buoni, dall’altra i cattivi. Il metodo delle discussioni da bar è ormai approdato tra giornalisti, specialisti, politici. La deriva è ormai a livello internazionale  non solo limitata alle questioni di casa nostra. Quale che sia l’argomento da trattare ci si ferma al titolo. Lo svolgimento non c’è, il confronto nemmeno. Si assiste un po’ attoniti alle rispettive elencazioni di ragioni che non contemplano l’ascolto, che non prevedono dialettica ma solo la presunzione  sorda delle certezze. E’ accaduto per l’invasione russa in Ucraina, accade sui migranti, persino sulle nomine (da sempre) telecomandate ai vari incarichi della pubblica amministrazione o della televisione e adesso sulla tragedia bifronte della guerra israelo-palestinese.  Le piazze seguono secondo schema rispettivo. Chiunque si azzardi a coltivare il seme del dubbio è immediatamente etichettato come filo-russo, comunista ( in questo caso seguendo il valore negativo dell’accezione tutta berlusconiana del termine che ignora volutamente la storia delle idee) , antisemita  o guerrafondaio. Le opinioni ormai non si confrontano più ma si specchiano l’una sull’altra scivolando sulla china sdrucciolevole degli slogan facili da memorizzare, facili da ripetere ma mai verificati nella loro rispondenza alla realtà.  Il quadro che ne deriva è desolante. Niente è esposto in maniera completa, su niente si riesce ad avere un quadro completo dei valori e delle poste in campo salvo che faticosamente non si vada a caccia della pluralità di pensieri che con molta attenzione vengono reciprocamente occultati. Viene da chiedersi : cui prodest ? Chi trae vantaggio da questa estremizzazione degli schemi di ragionamento la cui semplificazione arriva fino al punto di annullare del tutto il senso stesso del pensare ( e con questo l’essenza più intima dell’essere uomo) ?  Sicuramente se ne avvantaggiano coloro che hanno niente da dire, niente da proporre al di là della facile battuta, dell’ironia non sempre felice, dell’arroganza spesso unico veicolo di comunicazione. Sicuramente se ne avvantaggiano coloro che sono abituati ad agire dietro le quinte, nascosti dal polverone creato da qualche provocazione verbale o legislativa. Sicuramente se ne avvantaggiano quelli che perseguono i loro interessi economici sottotraccia , che sia il mercato delle armi o una distorta geopolitica di dominio. Altrettanto certamente tutto ciò va a svantaggio di ciascun essere umano, progressivamente deprivato della sua caratteristica essenziale. Va a danno delle popolazioni massacrate sull’altare dell’oltranzismo alimentato dalla feroce semplificazione. Ma basterà accendere il computer o il televisore per sentire ripetere in diverse parafrasi i versi di una vecchia canzone di Edoardo Bennato “Arrivano i buoni, ed hanno le idee chiare ed hanno già fatto un elenco di tutti i cattivi da eliminar...Così adesso i buoni hanno fatto una guerra contro i cattivi, però hanno assicurato che è l’ultima guerra che si farà”

Bercia nei social con noi!

Scorrono sui media, inesorabili, immagini di orrore e di paura. Non è solo terrorismo. Non è solo guerra. E’ la terribile conseguenza della semina ottusa e meticolosa, insistita e sfacciata, dell’odio. Il rifiuto dell’ascolto, del  confronto di idee, la negazione del dubbio in nome di certezze spacciate come dogmi. Non è soltanto una caratteristica della recente, orribile deflagrazione di violenza che sta investendo Israele e Palestina, è la cifra di una sempre più diffusa “weltanschauung” a livello mondiale;  dall’istigazione perpetua di Donald Trump fino alle sparate mediatiche di Salvini & C. passando per il rinnovato segregazionismo di AFD in Germania, i  vergognosi provvedimenti di Sunak un Gran Bretagna, il razzismo nemmeno mascherato di Orban e le pretestuose motivazioni dell’altro macello in corso da due anni in terra d’Ucraina. Tutto poi  si amplifica nella grancassa di un giornalismo sempre meno al servizio della verità  e sempre più asservito ai potentati,  pronto a replicare all’infinito slogan e bugie purché questo serva a puntellare un racconto che alimenti  l’insicurezza, la paura, l’incertezza. Tutte cose che fanno vendere di più,   con tanti saluti all’ipocrisia del pluralismo e del confronto. Anzi, sempre di più conta solo chi urla più forte. Conta, con la subdola forza irresistibile dei media moltiplicata dai social,  alimentare un racconto che definisca un’opinione pubblica  schierata e divisa sul fronte del bene e del male. Così pur a fronte della oscena invasione dell’Ucraina si è scelto di ignorare le tensioni già da anni in essere nelle regioni contese oppure di utilizzarle a contrario come giustificazione dell’ingiustificabile.  Stesso copione in questi giorni: tutti con Israele e ci mancherebbe. Ma se questa diventa la giustificazione per un sillogismo che porta a dire Hamas uguale a Palestina si torna a ricalcare solo ed esclusivamente il viale dell’odio al termine del quale stanno i massacri dei sanguinari terroristi e le rappresaglie di chi pare avere incredibilmente dimenticato cosa abbia significato la responsabilità collettiva attribuita ad un popolo. Ciò che appare preoccupante è che  in minore questa distorta dialettica alimenta quotidianamente i dibattiti anche nella “civilissima” Europa con la crescente volontà di identificare il nemico invece che l’avversario, il diverso dal presunto standard legato a valori che si fatica ad intravedere nella storia di un continente attraversato nei secoli da mille popoli diversi.  Se la parola d’ordine diventa quella con la quale lo scrittore israeliano Etgar Keret in una intervista a “La Stampa” riassume la politica del decennio di governi Netanyahu “Chi non odia tradisce”, siamo solo all’inizio di un dramma collettivo i cui confini appaiono  imperscrutabili e pericolosi. 

Bercia nei social con noi!

Ormai è una gara a chi sbaglia più forte quella tra il ministro Salvini e la giudice Apostolico. Breve riassunto dei fatti.  Il magistrato della città etnea ha emesso una sentenza che nega validità ad un provvedimento governativo ( disposizioni contenute nel  cosiddetto “Decreto Cutro” ) mettendolo a confronto con i principi sanciti dalla Costituzione italiana nonché da quelli della Unione Europea. In punta di diritto è ineccepibile perché esiste una gerarchia delle fonti che, basta una semplice interrogazione in internet, stabilisce che “La fonte superiore prevale su quella inferiore e di conseguenza la fonte inferiore non può contraddire quelle superiori. In concreto questo significa che la fonte inferiore che abbia un contenuto contrario a quella superiore è da considerarsi invalida, perché affetta da un vizio e dovrà essere pertanto eliminata, abrogata dall'ordinamento o disapplicata.” Dal momento che la Costituzione è una fonte di primo livello e il decreto legge ( o comunque anche un provvedimento legislativo del governo) una fonte di secondo livello, la conseguente disapplicazione rientra in una perfetta logica giurisdizionale. L’esecutivo ha poi diritto di fare appello contro la decisione del giudice. Questo avverrebbe in un paese normale dove i rapporti tra le istituzioni fossero regolati dal rispetto reciproco e da quello della legislazione vigente. Fin qui dunque poco si potrebbe eccepire alla dottoressa Apostolico  se non sguaiate smargiassate sostenute dal solito coro di prefiche “embedded” a beneficio dell’appiattimento cerebrale.  La decisione della magistrato ha però scatenato anche un’altra analisi delle fonti,  ben lontane queste dai testi di diritto: la ricerca sui social. E dal pantano dal quale ormai nessuno è immune sono stati ripescati “like” a messaggi del compagno contro il ministro Salvini e, dulcis in fundo,  filmati ( ormai son più d’uno) che ritraggono la dottoressa tra i manifestanti che nel 2018 reclamavano ( non senza veemenza) che l’allora ministro dell’Interno in salsa leghista facesse attraccare la nave carica di migranti lasciata a sobbollire al largo di Catania. Con straordinaria ( e senz’altro allarmante  ) rapidità sono emerse prese di posizioni ed immagini che ritraggono la magistrato come fiere oppositrice se non dell’intero centro-destra sicuramente del “capitano” delle folle di Pontida. Il quale dal canto suo, infischiandosene altrettanto allegramente della sua “rivale” del ruolo istituzionale e del necessario equilibrio se non riserbo che tale ruolo dovrebbe ispirare, ha dato il via in proprio alla gogna mediatica nonché al facile sillogismo per cui date le idee politiche della giudice il provvedimento in questione non è stato assunto sulla base di analisi giuridiche ma solo per astio di parte. Ora, in un paese normale ( quale non siamo ormai da tempo) sarebbe forse opportuno un passo indietro da parte di entrambi. Questo non scioglierebbe quell’inquietante sensazione di essere dentro “1984” con quasi quarant’anni di ritardo, non eliminerebbe la fastidiosa idea di schedature di massa e nemmeno quel disagio derivante dal vedere chi domani potrebbe essere chiamato a giudicare della libertà di qualcuno prendere esplicitamente posizione infrangendo l’aurea regola della purezza “della moglie di Cesare” ( non solo essere ma anche apparire inattaccabili) ma ci restituirebbe un minimo di dignità, E’ quella infatti che si va perdendo giorno dopo giorno nei tornanti di una politica che parla e non ascolta, che promette e non mantiene, che si autogiustifica e non risolve. Allontanare la gente dalla vita pubblica è però gioco a favore degli illiberali che ritengono loro diritto gestire come cosa privata gli affari di Stato , per questo diventa indispensabile  non concedere regali.