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Emerge un quadro desolante dopo l’uccisione del capo ultrà dell’Inter di sabato scorso. Vittorio Baiocchi, freddato sotto casa da tre colpi di pistola, aveva una fedina penale di tutto rispetto.

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Ieri si compivano i dieci giorni dal giuramento del governo guidato dal "Signor Presidente del Consiglio onorevole Giorgia Meloni”. Poco per fare un primo bilancio; abbastanza per avere un’idea dell’impostazione generale che verrà data a questa legislatura. Gran parte del tempo è stato dedicato alla rituale spartizione delle poltrone, con la necessità di placare le ansiose brame dell’ottuagenario di Arcore e i pruriti di rivalsa del mancato DJ del Papeete, ma non sono mancate le indicazioni significative per il futuro e non sono, per il contesto generale dei diritti e delle libertà, incoraggianti. Come ampiamente previsto dai più accorti commentatori, nell’impossibilità di attuare le politiche economiche promesse durante la campagna elettorale,stoppate dal combinato disposto della crisi energetica e degli obblighi europei, l’esecutivo guidato dalla primadonna della Garbatella ha cominciato a dare segnali chiari in tema di liberismo fiscale ed economico oltre che di ordine pubblico. Così fin dal discorso di insediamento si è dichiarato che “il governo non vuole disturbare chi intende fare”, ovvero via libera ad un nuovo “Laissez-faire” ignorando le distorsioni e il significativo aumento delle diseguaglianze che l’applicazione di tale modello comporta. Portato naturale di tali affermazioni  la preannunciata instaurazione di una “pace fiscale” (fuori dalle acrobazie verbali leggasi condono) e l’innalzamento del tetto del contante. Il tutto per non smentire una consolidata abitudine di parte,  consistente nel concedere la grazia agli evasori confermando nel fatti che tutti coloro che fanno fronte al dovere di pagare le tasse sono dei coglioni. Ma il bello (o il brutto) viene sul fronte dell’ordine e dei diritti. Pronti, via e Piantedosi e Salvini (coppia di fatto ricostituita dopo “gli anni belli” della gestione del ministero dell’interno da parte del leader leghista) bloccano le navi delle ONG al largo delle coste siciliane ( "navi pirata" le chiama la Meloni ). Segue la gestione discutibile delle contestazioni all’interno dell’Università a Roma, (sebbene resti inaccettabile la pretesa di impedire a qualcuno di esprimere la propria opinione), poi il liberi tutti sul Covid con reintegro di chi ha disobbedito alle regole volute dal governo di allora ( giudicate “ideologiche”, le regole; invece l’atteggiamento dei no vax è stato, a contrario, evidentemente ritenuto razionale…). Da ultimo la improrogabile necessità ed urgenza di un decreto legge che vieti i “Rave Party” (manifestazioni per lo più scellerate e dannose soprattutto per chi vi partecipa) con l’antipatica sensazione che evidentemente c’è disobbedienza e disobbedienza e che a seconda del caso si ottiene l’indulto oppure si rischiano fino a 6 anni di carcere. Il frettoloso testo prontamente vergato dagli uffici ministeriali, infatti , è scritto in maniera tale che, a discrezione di un funzionario di pubblica sicurezza, qualunque raduno di più di 50 persone ovunque si tenga e per qualunque ragione, potrebbe incorrere negli strali della legge. E’ scritto male, lo correggeremo, si sono precipitati a dire gli esponenti di Forza Italia (che recitano il ruolo di moderati). Manco per idea hanno ribattuto i leghisti e parecchi corifei della Meloni, impegnati a tempo pieno nell’impervia scalata degli specchi a giustificazione di parole che in italiano significano solo quanto si è scritto sopra. La rivendicazione della stessa leader, che considera motivo di orgoglio il varo di tale provvedimento pone fine ad ogni residuo dubbio. Questa è la linea dell’esecutivo voluto fortemente dal voto del 26 settembre; ideologicamente caratterizzato senza indugi né timori. Legittimo ma preoccupante. Qualcuno dirà: ci penserà l’opposizione. Già; tra chi è già pronto a traghettare da Firenze sul carro del vincitore (o della vincitrice? chissà...) e chi continua a mostrare encefalogramma piatto viene naturale rispondere: l’oppo..che ?

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E’ iniziata l’avventura del governo Meloni. La composizione dell’esecutivo e la ridenominazione di alcuni ministeri hanno fatto sobbalzare parecchi che hanno iniziato a gridare all’allarme democratico, al rischio per i diritti civili, all’eccessiva preponderanza di figure indiscutibilmente riconducibili a profili di destra.  Francamente ciò che stupisce è lo stupore. Le urne il 25 settembre hanno decretato senza il benché minimo dubbio la schiacciante vittoria prima di tutto di Fratelli d’Italia e poi della coalizione che intorno a questo partito si era coagulata e dove, si sosteneva alla vigilia del verdetto elettorale, la figura moderata era rappresentata da Silvio Berlusconi ( che è tutto dire..) Ebbene, conquistato il diritto a governare Giorgia Meloni e i suoi sono stati assolutamente conseguenti nelle scelte. In questo si può dire che,  nel  loro modo di vedere le cose che personalmente non condivido  ma che hanno il diritto di esercitare entro i limiti del sistema democratico, questa è gente seria.  Ha vinto la destra è si fa un governo di destra. Nessuna pretesa di ecumenismo, nessun cedimento sulla via del compromesso. Conforta in questo anche il parere della nota politologa Nadia Urbinati che intervistata a “La 7” ha affermato” Finalmente qualcuno che si schiera e si dichiara di parte come dovrebbe essere sempre nella sana competizione elettorale. Poi sarà giudicata ovviamente e come dev’essere per ciò che fa”. E dunque una volta ancora ci troviamo davanti ad una lettura discutibile da parte della sinistra che impantanata nell’ennesima palingenesi  minaccia un’opposizione feroce che già è stata contraddetta dal voto per l’elezione del  Presidente del Senato. Non è sbagliato che la prima leader del donna in Italia abbia portato avanti senza la minima esitazione le sue idee ed i suoi uomini o donne, anche quelli più discutibili come la neo-ministro della famiglia. Ha sbagliato la sinistra quando ha avuto la possibilità di farlo a non comportarsi da sinistra. A partire dalla legge sul  conflitto d’interessi,  per passare dai vari provvedimenti sui diritti e per finire su una più incisiva azione anti-evasione e nella direzione di una sostanziale ed effettiva perequazione sociale.  Il rilancio di una vera sinistra passa attraverso il recupero di quell’intransigenza ideale che era patrimonio delle vecchie formazioni storiche e che è finita annacquata tra i vari “ma-anchismi”, la ricerca di pluralismi eccessivi ed una mancanza di risolutezza che ha preso, della parte democristiana confluita nel PD,  soltanto lo smanioso attaccamento alle poltrone e non anche la capacità camaleontica di costituire comunque un riferimento per il proprio elettorato. Se almeno quanto sta accadendo servisse da lezione ( se non da esempio) invece di strillare, rigorosamente immobili,  per la scoperta dell’acqua calda….   

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Sono quasi trenta anni che occupa, condiziona, inquina la scena politica italiana. I tratti sono sempre quelli dell’origine, con la maschera del guitto imbonitore che carpisce la fiducia e che nasconde un’incontenibile prepotenza  ed un concetto del potere che niente ha a che vedere con la democrazia.  Silvio Berlusconi è così, come diceva correttamente Marco Travaglio ieri,  è tutto ed il contrario di tutto contemporaneamente. Parla e si smentisce, sembra stordito dall’età ma poi vai a leggere tra le righe e scopri una finissima strategia con la quale sta minando le fondamenta del non ancora costituito governo Meloni. Il non voto a La Russa, il foglietto con gli appunti offensivi esibito apparentemente in maniera involontaria, l’esibizione costante davanti ai microfoni; tutto dimostra che questo ottuagenario mai sazio di comando  farà di tutto per rendere la vita impossibile al nuovo esecutivo. Tra le molte considerazioni dell’anziano leader non si può tacere neanche una vena di “machismo” ferito dall’arrembante giovanotta che credeva svezzata alla corte di Arcore e che invece, unica sino ad ora (inclusi anche i fantasmi di quella che fu la sinistra), non ha accettato di scendere sul suo terreno fatto di compravendite e favori, un mondo dove l’unico valore di riferimento  è il denaro, prima ancora del potere. Nel corso di oltre un quarto di secolo quest’uomo e la sua filosofia del successo ad ogni costo, del denaro come principio ispiratore della vita, dei diritti scissi dai doveri ( incluso quello di pagare le tasse) , ha finito con l’imporre ad un paese intero la sua traccia, ha fatto del suo stile di vita un modello ed un criterio di ispirazione. Vero che chi poteva e doveva opporsi invece di farlo ha tentato di seguirlo in maniera ridicola sul terreno privilegiato dello slogan, dell’urlo, della mediazione interessata, finendo maciullato per manifesta inferiorità. Così è stato anche più facile. Ha imposto modelli e personaggi anche attraverso un utilizzo ben congegnato dello strapotere mediatico. Si è legato nel tempo a figure che avrebbero dovuto far inorridire chiunque come Gheddafi e Putin, spacciando per geopolitica la comunanza di interesse per il consumo utilitaristico degli harem. Oggi qualcuno si stupisce della sua posizione sulle questioni di politica interna ed internazionale eppure Berlusconi è sempre quello della Merkel “culona inchiavabile”, degli italiani che sarebbero stati degli “imbecilli” se votavano atri se non lui. Della gente gli interessa solo a parole. I problemi gli  interessano solo se sono i suoi ( o al massimo della Ronzulli) sebbene poi abbia la lacrima facile nelle occasioni di lutto. Questa volta però il contesto  è differente. La guerra e le sue atrocità, i problemi economici legati alle forniture di gas fanno sì che certe sgrammaticature non siano più salutate nel mondo da sorrisi di compatimento ( ricordate Merkel-Sarkozy ?)  e sul fronte interno la sua avversaria-alleata si sta dimostrando coerente con le sue idee e indisponibile a ricatti. Ora come ora il vecchio caimano si dibatte in difficoltà e mena colpi con la coda. C’è chi scommette invero sul fatto che il cavaliere ora dimezzato sia pronto a staccare la spina alla prima occasione al governo di destra per rifugiarsi in una coalizione di “salute pubblica” per la quale ha già pronto l’alleato immancabile, l’erede predestinato delle sue furberie e della sua capacità di mentire senza ritegno. Anche lui ha lo stesso concetto della politica ridotta a  mercato. Si è di recente venduto il simbolo per salvare la poltrona sua e degli amichetti  dall’ira funesta del popolo che non lo sopporta, ma alla fine che gli importa. Il concetto di fondo non muta: “ Lui è Lui e noi non siamo un cazzo”..e la luce in fondo al tunnel è sempre lontana.

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Due settimane dopo il voto non passa giorno senza che si debba leggere una allarmata riflessione di qualche scrittore, artista, politologo o opinionista contro le politiche che si presume possa mettere in atto la prossima Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ogni esposizione è arricchita da previsioni e teorie sviluppate attraverso una malcelata superiorità intellettuale verso quel popolo che in maniera incosciente ha deciso di consegnarsi nelle mani di un futuro rischioso ed improbabile. Vale premettere  che niente mi lega alle idee ed al retroterra culturale e storico della coalizione uscita vittoriosa il 25 settembre ed ancor meno alle tesi così frequentemente esposte dagli esponenti del partito di maggioranza relativa e dalla sua leader. Mi infastidisce però che nonostante la batosta  niente scalfisca l’intellighenzia di sinistra, che si preferisca continuare ad elevar steccati anziché mettersi in dubbio, anziché tornare a mischiarsi con la gente ed a capire perché e quando è accaduta questa presunta incosciente palingenesi, anziché adoperarsi per mettere in moto idee e movimenti in grado di invertire il segno. Chiusa nella sua torre eburnea la categoria dei “maitre à penser”  è ormai scivolata in quella del “benpensanti” , in un rovesciamento dei ruoli rispetto al passato tanto clamoroso quanto pernicioso. Tanto che alla fine, seppur in maniera decisamente meno volgare  e violenta ( l’eleganza prima di tutto, ca va san dire..) queste esternazioni fanno il verso al Trump che non accettava l’esito del voto a favore di Biden. Così facendo però ci si consegna da sconfitti rancorosi alla storia, in passiva osservazione di ciò che sarà. Nel vuoto pneumatico di proposte che ha contraddistinto la campagna elettorale del PD, nel pericoloso debordare di forze populiste di dubbia coscienza democratica e nel consueto piccolo cabotaggio di avventurieri di Palazzo, è risuonata ripetitiva e stantia anche la voce dell’intellettualità che non ha saputo spronare, suggerire, criticare anche, lo schieramento di cui si considera parte. Tutti allineati a gridare “Al Lupo ! Al Lupo !” ma neanche uno che si preoccupasse almeno di suggerire che andavano chiusi i cancelli, sempre che si fosse ancora in tempo. E’ questa la parte più preoccupante di questa deriva, di questo slittamento verso un governo che poco potrà fare sul piano dell’economia e dei rapporti internazionali perché  lì si che c’è chi sta col fucile spianato pronto a colpire chi deflette dai binari tracciati,  sia in un senso che nell’altro (come ha dimostrato la infelice conclusione della bizzarra iniziativa britannica di taglio delle tasse finanziato col debito pubblico,  rasa al suolo in una settimana  dagli ormai onnipotenti mercati finanziari) . Ed allora su cosa potrà agire Donna Giorgia con i suoi fidi (?) se non su quella parte dei diritti civili che sono stati per tanto tempo cemento di quel fronte nazionalista  (asseritamente) difensore delle vecchie e sane tradizioni  ? Se accadrà ( e probabilmente accadrà) allora sì che ci sarà da rispondere, nelle strade e nelle piazze secondo democrazia e volontà generale. Allora sì che si dovranno scuotere le coscienze. Ce la faremo o assisteremo ancora alla sfilata di pensose, sdegnate, rituali ed auto incensanti reprimende letterarie ?

 

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Manca una settimana alla celebrazione dell’annunciato trionfo dell’estrema destra in Italia. Sembra ormai che niente possa impedire l’espansione vittoriosa del “fil noir” che corre dall’Europa settentrionale al mediterraneo . Del resto una campagna elettorale così sgangherata da parte della sinistra ( o centro sinistra che dir si voglia) non poteva certo avere ambizioni di successo, al massimo di contenimento. Peccato che anche questo obiettivo appaia quanto mai lontano, giocato al tavolo delle liti con i Cinquestelle,  delle scissioni con Calenda ( che costerà il recupero a nuova vita del dannosissimo di Rignano), distinguo tra le stesse forze della residua coalizione che si impernia sul quel che resta di quel vascello fantasma che si ostina a chiamarsi PD. Non che manchino le incomprensioni anche sull’altro fronte, con un Salvini che arranca verso il naufragio del 10% o meno e Berlusconi caricatura di sé stesso sui social. La differenza sostanziale però sta nel fatto che da quella parte il consenso che perdono i due confusi alleati pare dirigersi senza indugi verso la fiamma mai sopita di Giorgia Meloni, mentre nel centro e sinistra è una gara a dichiarare che semmai accadesse l’impossibile comunque non si vorrebbe governare con questo o con quello. Livello del dibattito desolante. Fesserie a raffica e gara delle promesse irrealizzabili ( se non a condizione di squassare definitivamente i conti  dello Stato con il “rischio Grecia” dietro l’angolo).  In realtà alla fine si dovrà, perché questa è l’essenza della democrazia, accettare l’esito delle urne senza “trumpismi” né vittimismi. Volendo la partita ricomincia il 26 settembre. La linea di politica economica del nuovo esecutivo è già tracciata. Non da Giorgia Meloni ma dall’Europa e nonostante le dichiarazioni roboanti a beneficio della pancia dei suoi elettori . Da quella strada non si esce  a meno di non volerne pagare salate conseguenze. Qualcosa però la nuova maggioranza che dichiara di voler cambiare faccia al paese dovrà pur farla. Qualcosa che soddisfi il modello ideale ed identitario del proprio elettorato, in particolare di quello  storico. I temi su cui si eserciterà la forza ottenuta dal voto saranno presumibilmente quelli dei diritti civili; dagli immigrati all’aborto, dalle droghe leggere al reddito minimo ( chiamatelo come volete) ai diritti Lgbt alla amministrazione della giustizia. In questi ultimi giorni Lega e FDI si sono contraddistinti per il  voto a favore di Orban, il cinico razzista che governa l’Ungheria, con Salvini che non ha mancato di dichiarare che in fondo su certi temi di politica familiare i magiari hanno adottato provvedimenti che lui ritiene molto migliori dei nostri ( come l’aberrante decisione- che puzza di sperimentalismo neonazi- di obbligare le donne che chiedono di abortire ad ascoltare preliminarmente alla conferma della loro decisione il battito cardiaco del feto?). Ci sarà bisogno di  alzar barricate e levar gli scudi contro ciò che verrà non domattina ma probabilmente molto presto. Almeno su questo possiamo sperare di trovare una consonanza di civile progressismo capace di ribaltare il moltiplicarsi delle iniquità? O si dovrà prima azzerare il nulla che stiamo tristemente osservando mentre si trascina verso il ceppo elettorale ?

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Quanto accaduto nei giorni scorsi ad alcuni colleghi giornalisti in un paio di episodi ci fa capire quale sia la visione del partito della Meloni sulla libertà di stampa.